47 morto che parla

47 morto che parla
Tonino D’Orazio 5 settembre 2015.
Nel mese di luglio il saldo occupazionale tra assunzioni e cessazioni ha registrato un più 135.417 lavoratori. Disaggregando i dati, però – sostiene il presidente Commissione Lavoro della Camera – quello che si ricava è che, per quanto riguarda il tempo indeterminato, il numero dei nuovi assunti si equivale a quello dei licenziati:137.826 a 137.779, con una differenza positiva di soli 47 lavoratori”.

47, morto che parla. La “grande riforma” del jobact ha partorito il decantato sviluppo del rilancio dell’Italia e dei diritti crescenti dei lavoratori. I freddi numeri non cedono il passo al sarcasmo. Non bastavano 40 contratti fasulli da supermercato del lavoro della legge Biagi, bisognava ancora precarizzare e abbattere quel poco che rimaneva dello Statuto dei Lavoratori. Infatti il risultato è un giro di cassa al ribasso del bestiale mercato del lavoro. Qualcuno, senza ironia, precisa che è solo un inizio e che bisogna aspettare per vedere i risultati. Già, aspettare. Diciamo che le 600 euro di media percepiti dai nuovi contratti (giro di cassa degli 8.000€/annui regalati dallo stato agli “imprenditori”) si cominciano ad avvicinare ai salari polacchi e a quelli degli altri paesi europei dell’est.
Aspettare che la vergognosa situazione si consolidi in modo che a nessuno, per il futuro, venga l’idea di abolire questo obbrobrio. Nemmeno l’obbrobrio già consolidato della legge Biagi nella destrutturazione, direi distruzione, del mercato del lavoro. Nessun altro paese europeo è andato così in avanti nella distruzione del tessuto lavorativo, e si vedono i loro risultati di “tenuta” ottenuti durante la crisi, pur se striminziti. Alla fine anche qui “non c’è alternativa”. Non si torna indietro. Nemmeno a colpi di referendum. I padroni al governo da almeno 20 anni non sono d’accordo, sarebbe un “regredire”.

Intanto si muore sempre di più di “lavoro”. Al saldo della disoccupazione e della nuova emigrazione. Nelle fabbriche, nell’edilizia e nelle campagne. Alla morte di una donna (italiana) stremata dalla fatica, in Puglia, si strombazza subito una nuova legge pannicello contro il caporalato. In fondo sono un po’ come i servizi privati interinali. Magari esagerano un po’ nell’occultare i cadaveri. Purtroppo sul ricatto del lavoro/fame funzionano anche meglio del jobact. Al nero vi sono 2,1 milioni di lavoratori (mancano sicuramente tanti clandestini) per 42 miliardi in retribuzioni. L’evasione è pari a 25 miliardi all’anno. Chi oserebbe proibire i “servizi interinali” dopo averli istituzionalizzati per legge ed essere super utilizzati dai padroni perché ideologicamente e anche culturalmente il “privato” deve funzionare meglio e loro devono avere meno responsabilità sociali e umane possibili? In fondo i lavoratori sono diventati una vera merce di scambio (sono inseriti nel valore o nel prezzo?) che grava, difatti anche poco, sul lordo, anche del prezzo del pomodoro al chilo. Pomodoro che viene venduto ai grossisti per 8 centesimi. Pomodoro che compero a 1 euro (100 centesimi), compreso lo sconto, nel mio supermercato cooperativo “a chilometro zero”. C’è qualcosa di marcio nel mercato commerciale della nostra repubblica. Lì vi si annida un’altra forma di caporalato, ma più legale e più offerente di tasse allo stato con più passaggi IVA. Dov’è la moralità? Vi sono come sempre due pesi e due misure? C’è chi può, se porta soldi allo stato, e chi no perché non ne porta? Il lavoratore sta comunque in mezzo, nel mondo “di sotto”. Sempre più nudo, spiato da tutto quello che l’elettronica e la robotica permettono oggi. Presto le operaie dovranno mettere un intimo di pizzo per andare a lavorare o al bagno in fabbrica. Anche per gli operai probabilmente Valentino lancerà una nuova linea “Uomo”. E’ fondamentale per la ripresa economica e il rilancio dello sviluppo dell’Italia.
Intanto c’è già l’accordo padroni/sindacati per un controllo efficace dei lavoratori su droga e alcool, per il loro bene e la loro salute. Mica sulla miseria e la difficoltà di “vivere” i ritmi e le angosce attuali di lavoro, di non lavoro e di schiavitù a diritti decrescenti. Bisogna ora controllare la psiche e l’eventuale fecondità. Manca infatti una specie di “scatola nera”, un microchip sottopelle. Cosa non si farebbe per il nostro bene.
Tutto democratico però. L’impresa dovrà “informare adeguatamente” il lavoratore sulle potenzialità di controllo sia degli impianti che degli strumenti e rispettare le norme sulla privacy. Per la privacy l’importante è che ti “avviso”. “Uomo avvisato, mezzo salvato”. E’ la politica degli slogan nella saggia repubblica dei proverbi e dei luoghi comuni. Intanto per i controlli a distanza l’autorizzazione sindacale o del ministero non sarà necessaria per cellulari e tablet.
Riguardo ad “entrare” nei computer personali, un po’ come già fanno le varie forze “dell’ordine” italiane, ma anche di tutti i paesi, in nome della lotta ai terroristi e quindi per il nostro bene, c’è da domandarsi dove sia finito il garante della cosiddetta “privacy”. Un altro finto lavoro di democrazia all’italiana, visto che non conta nulla. E una ulteriore stretta e forma di controllo dei cittadini.
Rilancio degli strumenti. I lavoratori dovranno dotarsi di due cellulari, uno privato e uno al servizio della ditta, così niente benefit e localizzazione costante. Guai agli infedeli e agli amanti, incastrati nella eventuale cultura ricattatoria di un Fabrizio Corona qualsiasi e tessuto connettivo del nostro vivere sociale attuale.
Intanto hanno “semplicemente” modificato l’art. 4 del moribondo Statuto dei Lavoratori. Rimane il diritto di sciopero, da limitare, e l’esistenza del sindacato. Allucinante l’applauso alla “festa” dell’Unità di Bologna a Squinzi che lancia la prossima mossa quando parla del sindacato come “fattore di ritardo” per il Paese. O di Renzi quando deve “salvare i sindacati da se stessi” magari facendone uno unico, stile mussoliniano, per legge a colpi di voto di fiducia, o quando dice che i loro dieci milioni di iscritti “non sono italiani”. L’attacco di Boeri (stipendio: più di un milione di euro all’anno, più premio di “produttività”; dei dirigenti provinciali Inps dai 230 ai 270 mila/annui, più premio, con prosieguo di “normali” alte pensioni visto che hanno “versato”) sulle pensioni dei sindacalisti troppo elevate in rapporto ai versamenti. Ovviamente non prova a riferirsi agli autonomi e ai coltivatori diretti, se non all’assistenza sociale che in tutti i paesi d’Europa viene pagata con le tasse e non con i soldi previdenziali dei lavoratori. Oppure alle pensioni d’oro dei dirigenti d’impresa, caricati sulle spalle dei lavoratori dopo il fallimento della loro munifica cassa pensionistica conservandone i privilegi. Aspettando i medici e altre corporazioni ricche e disastrate. In verità le spalle dei lavoratori già reggono tutta la piramide sociale ed economica.
No. Sono quei sindacalisti in pensione, (qualche insignificante migliaio) che pur sempre hanno versato ciò che veniva loro richiesto dalle leggi in vigore, la nuova pietra di scandalo, giusto per alzare il polverone. Concetto immediatamente ripreso da tutti i mass media governativi e padronali. In questo modo si preannunziano (o pilotano) due cose. Una la difficoltà padronale, e la guerriglia, per i rinnovi contrattuali in scadenza per quasi 3 milioni di lavoratori, tra cui 1,6 milioni di meccanici. Due il sostegno di Renzie ai padroni per minacciare una eventuale legge di limitazione del diritto di sciopero e una di rappresentanza sindacale a danno proprio dei sindacati, con particolare riferimento alla amata Cgil.
I morti sul lavoro di ogni giorno non contano, oppure solo un istante, uno spot televisivo. Si apre il balletto comunque a danno dei lavoratori, sia su lavoro che, di nuovo, su pensioni. Per diminuire il valore degli aumenti salariali, legati al costo della vita, aspettiamo i dati in discesa e non credibili dell’Istat e il mea culpa governativo del Pil che non sarà quello previsto. Se non ce lo dicono prima le strutture internazionali.
E’ sempre successo, si tratta di avere una semplice memoria normale.

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