Lavoro, fame e soldi

Lavoro fame e soldi.
Tonino D’Orazio 26 agosto 2015.
Il giorno di ferragosto 101 operai sono andati a lavorare alla Electrolux di Susegana (Treviso). Hanno lavorato 12 ore per produrre intorno a 400 frigoriferi. Su richiesta dell’azienda e contrari i sindacati. Hanno percepito in più 70€ lordi (35 se li mangia l’appaltatore Stato che magari, in un modo o nell’altro, ne ridarà un po’ all’impresa stessa). Hanno detto: una pacchia in tempi di fame. Spiritosi, hanno anche detto che pensavano di cuore a tutti quelli che purtroppo non potevano lavorare. Ovviamente questa multinazionale, che nel tempo si è mangiata nel mondo circa 200 grandi fabbriche concorrenti, aveva assolutamente bisogno, nelle 12 ore, di un numero così spropositato di indispensabili frigoriferi. Sono i civilissimi svedesi. Quelli che in patria pagano il salario di cittadinanza. Certo, sempre con i soldi dei lavoratori.
Sono gli stessi padroni che a Forlì cercarono di svuotate la fabbrica il giorno della festa del santo patrono. L’azienda: “Anche se era un giorno di festa, nel resto d’Italia si lavora e i magazzini devono restare sempre attivi“. Chi comanda paga e affama nel mentre ci spiegano l’alto valore sociale e umanitario delle imprese, magari con spirito cristiano. Senza di loro, la fame. Con loro, la fame ugualmente, più lo “scuorno”. Magari, come avevano previsto, con un taglio del 40% dei salari se le maestranze volevano continuare a “lavorare”, nonostante l’aumento di fatturato dal 2001 al 2012 sia stato di 2 miliardi di euro. Sarà per pagare il sociale svedese. Ma ho i miei dubbi. I padroni non pagano mai, prendono. Per molti è diventato normale.
Perché stupirsi se si “prende” ai lavoratori e si ridistribuisce, in parte, ad altri lavoratori? Tutto il nostro sistema sociale funziona così. Tutta la ripartizione mondiale del lavoro funziona così. I poveri che sono tanti pagano gli altri più poveri. I padroni “accumulano” per vincere la concorrenza tra loro in una specie di risiko sempre più veloce e vorace. Al finish, magari lasciando un po’ di macelleria sociale in giro. Ma questo è un problema dei politici, loro fanno solo normali affari.
Saranno di nuovo e sempre i lavoratori, in un giro di cassa, a pagare tutte le “nuovissime” riforme. L’idea banale, (che lo fa sembrare geniale), di Padoan, oltre a continuare a svendere il poco che rimane degli apparati produttivi italiani con una “spinta vigorosa alle privatizzazioni”, per coprire falsamente le riforme del mercato del lavoro e degli ammortizzatori, (vergognatevi lavoratori e disoccupati spreconi! Tocca vendere l’Italia per voi!) il ministro punta a “riconsiderare gli strumenti esistenti, utilizzando anche risorse che già vengono impiegate all’interno del sistema di welfare”. E quali altre altrimenti. Dice di voler “concentrare tutto l’intervento per lo sviluppo in una direzione”, “tutto sulle imprese, e quindi Irap e oneri sociali, oppure tutto sui lavoratori, attraverso l’Irpef”. Dal cuneo di Prodi, che aveva dato tutto alle imprese e niente a lavoratori e pensionati, ve lo immaginate che un rappresentante della troika neoliberista e galoppino di Goldman Sachs possa utilizzare il cuneo “tutto per i lavoratori”? E che qualcuno possa crederci? Magari anche aprire un altro tavolo di trattativa?
Il problema è che ci fanno credere che i soldi li “mette” il governo. Prendendoli invece ai lavoratori e ai pensionati. Gli altri non pagano tasse (cfr dati Istat). Oppure che, per esempio in Europa, gli 86 miliardi di euro servono ad “aiutare il popolo greco”, e non ad andare direttamente nelle casse bancarie tedesche, francesi e magari italiane. Eppure, per sbaglio, lo stesso D’Alema ha ironizzato e spiegato che non era vero, non era un aiuto al “popolo greco”. Chissà dov’era in questi anni. Oppure i norvegesi che non vedono l’ora di mettere le mani sul Partenone di Atene, essendosi già prenotati da tempo. Aspettando l’Italia. Per quel che ci rimane, le nostre opere d’arte, i tedeschi, i francesi e gli inglesi mandano già i loro dirigenti a registrare il menù, con tanto di intellettuali italiani tromboni a battere i piattelli. Anche se bisogna ammettere che da noi la meritocrazia è un’altra di quelle grandi balle alle quali crediamo ancora.
Quasi quasi conviene non spingere su una nuova “riforma” delle pensioni. Dal 1995 (Dini) non ne è venuto nulla di buono per i lavoratori. Non si capisce perché con una nuova “riforma” non dovrebbero ulteriormente arretrare nei loro diritti e nei loro soldi. Dopo cinque “riforme” e il sedere per terra perché non si potrebbero ancora raschiare ulteriormente il barile? Magari tra un finto dare e una ulteriore rapina. A colpi di decreti e voto di fiducia. Come sempre in questi anni di ricatto continuo, e prevedere significa in gran parte solo ben ricordare. E’ solo la legge sperimentale di Bacone e di Galileo di qualche secolo fa.
Qualche lavoratore ricorda cosa significa risparmiare? Da Ciampi in poi (1993) i banchieri e gli imprenditori in politica hanno preso il potere e ci hanno gestiti, come le loro banche o imprese. Al fallimento condiviso. Politico e, oggi, anche amministrativo, facendoci addirittura passare, oggi, per soci muti nelle banche che falliscono e facendoci rapinare legalmente i soldi che abbiamo affidato loro. Mentre ci occupavano tutti giorni con “l’invasione” degli immigrati, le imbecillità di Salvini o la stupidaggine Casamonica (visto che la vera mafia sta dappertutto e in tutto l’apparato dello stato, dell’economia e della politica non basta più indicare un capro espiatorio, anche se fortemente mediatizzato). E’ la penultima estorsione dell’Europa delle banche. Europa che abbiamo e dovremmo tenerci perché a dire di quelli che ci hanno portato al baratro, e continuano a spingere, “non c’è alternativa”. Eppure il FMI lo consiglia da mesi di rubare qualche percentuale sui nostri conti correnti. E’ già stato sperimentato a Cipro. Bastava di nuovo un bel termine tecnico inglese, (bail-in) lingua universale che tutti gli italiani capiscono. Lo stato non interverrà più con i nostri soldi di contribuenti per salvare le banche (che pacchia!); queste possono prenderseli direttamente sui nostri conti correnti. E’ giusto e “snello”. Perché mantenere in piedi un giro di cassa ? E perché i banchieri dovrebbero ancora chiedere soldi ai politici quando possono ormai fare tutto da soli? La trappola sta nel fatto che i soldi da fame che abbiamo non possiamo portarli in nessuna altra banca europea. Se controllate sono tutte sull’orlo del fallimento, soprattutto quelle tedesche. A guardar bene è bastata una spintarella della cattiva Cina per sollevare di nuovo il velo sul marciume finanziario. Altro che Grecia.
Si salvi chi può dalla fame a venire. Nascondete più soldi liquidi che potete se volete sopravvivere qualche anno o mese in più. Finché esisterà ancora la carta/denaro, sapendo che già oggi svolge solo il 10% delle transazioni. Intanto hanno già pensato come togliercela. Sempre in nome di qualche “buon proposito” condivisibile, ovviamente, e un gran battage mediatico.

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