La Turchia dagli Ottomani agli Islamisti

La Turchia dagli Ottomani agli Islamisti
Tonino D’Orazio, 22 dicembre 2015.
L’impero Ottomano è sempre stato una spina nella storia europea, con una presenza militare, culturale ed economica. Era, ed è, una porta geofisica, (Costantinopoli-Bisanzio-Istambul) tra Europa, Euroasiatici e Medio Oriente, e tramite il passaggio dello Stretto Dardanelli o del Bosforo verso il Mediterraneo con la storia dei suoi popoli. Insomma il contatto di tre continenti.
Sconfitta dopo la prima guerra mondiale, poiché alleata dell’impero austro-ungarico, la Turchia rischia di scomparire e comunque gran parte dei suoi territori vengono suddivisi e ritagliati dalle nazioni vincitrici. Trattato di Sèvres del 1920. A seguito dello scoppio della guerra di Indipendenza Turca (contro gli invasori europei vincitori), dal 1923, la Turchia guidata da Atatürk diventa una Repubblica parlamentare unicamerale. Le sue istituzioni sono tuttavia fortemente condizionate dalle forze armate, il cui ruolo politico è stato fissato nella Costituzione laica da Atatürk (Mustafa Kemal), ribadito nell’ultima Costituzione del 1982, ma emendata nel 1995 con la scelta dell’elezione del Presidente (che nomina addirittura direttamente i membri della Corte Costituzionale) a suffragio popolare. Parimenti il Parlamento viene eletto a suffragio universale (con sbarramento al 10%, ponendo fuori gioco le minoranze etniche e politiche). Mi sembra il sogno in atto di Renzi e della impunita e trionfante Boschi: unicamerale e, ultimo atto della P2 di Gelli, il presidenzialismo totale dell’uomo solo al comando. Alla Erdogan, attuale revanscista territoriale di parti del disperso impero ottomano, esempio luminoso di nuova dittatura democratica e guerrafondaia di questo inizio secolo.<br />
Atatürk, mitico eroe protagonista della cacciata degli europei occupanti gran parte della Turchia, in rottura con l’eredità musulmana, riorganizzò lo stato in termini laici, (imponendo all’esercito di garantirlo), con uno sguardo alle democrazie europee, persino modificando la scrittura araba in alfabeto latino. Dopo la seconda guerra mondiale la Turchia entrò nella Nato in funzione antisovietica all’inizio della guerra fredda e nella “via del capitalismo” contro il comunismo. Alla caduta del muro di Berlino, la costituzione venne riformata e l’esercito golpista rispedito nelle caserme. Iniziava un nuovo periodo storico, con al potere il Partito della Giustizia, con principi islamici (eufemisticamente chiamati post-islamici), e con la richiesta di adesione alla Comunità Economica Europea (1987). Richiesta fortemente sostenuta dai sempre presenti statunitensi e dalla Germania (con già 5 milioni di turchi immigrati). Il timore dell’entrata di 80 milioni di musulmani nel cuore dell’Europa ha raffreddato (ancora oggi) le aspettative turche. Piano piano, il Partito della Giustizia, che pur aveva operato inizialmente delle riforme democratiche di tipo europee, scegliendo la linea neoliberista ha introdotto profonde ineguaglianze sociali, a riprova della sua ideologia deleteria, e riacutizzato rivalse etniche e territoriali mai sopite. La crisi irrisolvibile ha portato Erdogan ad un sempre maggiore autoritarismo e ipernazionalismo, anche utilizzando la coesione base della religione islamica, (nazionalismo che in genere, dappertutto copre il fallimento sociale del potere) fino all’ultima sfida aperta con la Russia, che, con il recente intervento militare, ha bloccato le sue mire territoriali sulla parte nord della Siria (e dell’Iraq, anche se quest’ultima in mano “autonoma” dei curdi e “protetta” teoricamente da quel che abbiamo visto questi giorni dagli americani), territorio una volta parte dell’impero ottomano e abitata ancora oggi in gran parte da siriani turcomani. Non è indifferente o ingenua la decisione della Merkel di accogliere i “siriani” che avevano libero passaggio alle frontiere turche. Nemmeno indifferente l’intervento dei turchi e il sostegno, in tutti i modi, sia all’opposizione siriana che all’appoggio ai gruppi siriani dell’Isis (sunniti), ormai evidente a tutti. Il 93% della popolazione è di religione musulmana sunnita, come gli arabi sauditi, rimasti fedeli in tutto alla cultura, alla gestione politica tipo impero ottomano e all’alleanza con la Turchia.
Sul piano “rivoluzionario” Atatürk fonda la prima repubblica parlamentare del Medio Oriente; libera la donna dagli harem, diventando essa giuridicamente libera; diventa elettrice ed eleggibile; organizza l’abolizione dell’analfabetismo, facilitato dall’aver imposto l’alfabeto latino; organizza un esercito laico e al servizio unicamente degli interessi nazionali. Rimpiazza le vecchie leggi con il codice civile svizzero, il codice penale italiano, il codice commerciale tedesco e la procedura francese. Il meglio del pensiero europeo. Niente di inglese; questi avevano tragicamente spadroneggiato troppo in quelle terre. Non vestì mai più l’uniforme militare e adottò il motto:”Pace nel paese e pace nel mondo”. Si riconciliò con la Grecia, storica nemica. Firmo il trattato di amicizia con la Russia bolscevica. Purtroppo morì nel 1938 senza aver potuto “educare” completamente una nuova generazione di amministratori e un progressista apparato politico. Senza aver potuto completare l’obiettivo di portare il suo paese e il suo popolo, “arretrati”, alla civiltà, all’occidente. Ma il sentiero era, o sembrava, profondamente tracciato.
Il dopo la seconda guerra mondiale, con il tentativo dei russi di controllare lo Stretto del Bosforo, (1947), la Turchia si schiera con gli statunitensi e entra nella Nato. Da allora sarà la loro più fedele alleata. Inviò persino “guerrieri” turchi nella guerra di Corea. Ancora oggi è la più fedele, insieme a noi. Si può ritenere che, siccome non hanno mai fatto un passo senza autorizzazione, come noi, la provocazione attuale alla Russia abbia sicuramente secondi fini programmati. Troppo facile pensare che Erdogan sia “matto”.
Cosa ne è oggi dell’eredità laica di Atatürk. Quasi più nulla, un po’ come la nostra Costituzione nata su principi ideali, ma inutili, se non contrari, ad un capitalismo prepotente e dilagante.
Vari periodi di dittatura militare (anni’60 e ’70 ma soprattutto il colpo di stato del 1980), distrussero tutti gli elementi di progresso del paese, dai sindacati ai partiti dell’opposizioni, non solo comunisti, ma anche socialisti e repubblicani. Furono aboliti i Diritti Umani, il parlamento, chiuse o riportate “all’ordine” le università, fu decretato il delitto di opinione per giornalisti e intellettuali. Riapparve il terrorismo comodo dei gruppi fascisti (Lupi Grigi). Reiniziò il massacro, non ancora finito, delle popolazioni curde, popolo celato sotto la definizione di “turchi di montagna” per evitare la terminologia internazionale sul genocidio.
Le politiche neoliberiste, già dagli anni ’80 hanno cancellato il tentativo di equilibrio e di giustizia sociale predisposto dalla costituzione di Atatürk. Quindi essa fu modificata, non era più gradita al libero mercato nascente. In assenza di strutture sociali distrutte e con un ritorno ad una cultura islamica dilagante come potente movimento sociale, religioso e di azione politica, oltre che coesa in sostegno dovunque ai fratelli musulmani, (esempio agli islamisti di Hamas nella striscia di Gaza o in Egitto), la Turchia iniziò a regredire sul piano della laicità. Oggi il partito di Erdogan è un partito islamista e alcune regole di quella cultura cominciano ad incidere pesantemente sulla società. Compresa la concezione normale dell’autoritarismo di Erdogan e delle sue ripetute violenze e assassinii contro manifestanti e oppositori, (Parco di Gezi, 2013), compresa l’ultima strage, (stazione di Ankara, 95/125 morti in una manifestazione pacifista nell’ottobre scorso), sicuramente “di Stato” vista la sua tragica utilità elettorale. Puntuale, con tante analogie con la nostra ancora oscura storia italiana quando si rischiava di non essere più così fedeli agli statunitensi. Forse non c’è la sempre presente “pista anarchica”, ma le impronte ritrovate sui fiammiferi vicino all’ordigno esploso ci indica che più la balla è grossa più è forse credibile. Addirittura questa volta sarebbe l’Isis, infida e ingrata dopo gli aiuti ricevuti a rifargli la camicia pulita.
In rapporto all’islamizzazione un esempio sensibile sono, come sempre le donne, chissà perché nemiche storiche ma consenzienti in quella religione. Negli ultimi tre anni le spose sotto i 16 anni in Turchia sono state 181mila. Solo nel 2012, 20mila famiglie hanno portato all’anagrafe i documenti per accasare le loro figlie minorenni. Molti matrimoni vengono contratti in moschea con rito religioso, non ancora riconosciuto dalla legge turca, che ammette solo il matrimonio civile e quindi non sono nemmeno registrati. Saranno registrati dopo la maggiore età oppure la consuetudine religiosa creerà un immenso silenzio sul caso. Tra l’altro sono riapparsi da un decennio i fazzoletti obbligatori in testa alle donne se non il burka in alcune regioni. Abolito il diritto a l’aborto. Restrizione della vendita delle bevande alcoliche. (Grazie Coca-Cola!)
La Turchia ha scelto l’Islam come cultura politica e non quella dell’Europa. Atatürk e i laici hanno perso. In Italia anche i Partigiani e i loro morti. Avanziamo insieme verso un regime. Cioè torniamo tutti indietro.

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