La sacralità dell’economia

La sacralità dell’economia

Tonino D’Orazio 24 novembre 2017.

Come liberarsene? Come essere atei anche su questo concetto fideistico diventato “sacro” per troppi individui e per tutto il sistema? Non sembra sufficiente ribadire che l’economia non è una scienza. Lo stesso premio Nobel cosiddetto per “l’economia” è un inganno perché non è stato previsto dai premi attribuibili al noto scienziato, ma è soltanto un premio “aggiunto” una prima volta dal governo svedese e rimasto in auge. A fianco agli altri premi, culturali e scientifici, sembra quasi vero.

Nella cultura ben costruita a rete intorno a noi i verdetti emessi da improbabili sapientoni accademici, preoccupanti perché esenti dal minimo dubbio, (tra l’altro li abbiamo visti all’opera “quelli della Bocconi”), valgono più dei versetti biblici, come per i credenti di varie religioni. Personaggi che mischiano sapientemente politiche economiche, (assenti ormai in tutti i paesi dell’Unione, perché c’è il “ghe pensi mì” di Bruxelles), con economia strettamente contabile, di tipo bancario con il pallottoliere. Creano un fideismo senza ragione, una semplice teoria di potere fatta passare come un dato di natura e dunque inevitabile. Aggiungono anche qualche esca per l’allegria della platea.

Così sono i Decreti Programmatici Finanziari da vari anni. Non hanno nessuna proposta di politica economica, che potrebbe guardare a un concetto di sviluppo ed equa giustizia sociale, ma solo di economia contabile. Non direi senza scelta, se non quella di elargire il massimo delle risorse del paese al sistema bancario italiano e internazionale.

Prova ne è che appena Gentiloni ha parlato di Pil all’1,6 %, il presidente dell’Associazione Bancaria, intervistato il giorno dopo, si è immediatamente lamentato delle necessità urgenti del sistema bancario italiano ancora in forte (e perenne) crisi e soprattutto a rischio. Più di astinenza e con il solito ricattuccio, immediatamente sostenuto dalla Bce. Gentiloni, al contrario di Padoan, deve aver risvegliato appetiti intorno ad un qualche “tesoretto”. Almeno ai banchieri non dovrebbe sfuggire che siamo in campagna elettorale e che in realtà di questi tempi non godono proprio di buona nomina.

Peggio, fanno finta di crederci, pur sapendo dei dubbi sui dati appena sussurrati dal FMI che fra l’altro prevede “un raffreddamento” per il 2018, ma soprattutto dalla “minaccia” del commissario europeo Katainen, che con una certa rozzezza tipica dei nordici quando si professano realisti, dice che non è vero che la situazione stia migliorando, che i conti pubblici sono peggiorati e rivela pubblicamente, non si sa se per vera stupidità, l’intenzione di Bruxelles di bastonare duramente l’Italia non appena chiuse le urne delle elezioni politiche, certamente non aiutando con un silenzio utile, come spesso utilizzato nel passato per favorire alle elezioni i soliti noti. Forse il 20 novembre il governo ombra italiano non ha capito; allora interviene il 21 un altro splendido personaggio, il vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis, rappresentante della destra polacca, “L’economia italiana crescerà quest’anno e il prossimo, ma resta ancora sotto la media Ue, la disoccupazione scende ma resta sopra la media Ue”, il debito “resta fonte di vulnerabilità”; “è importante usare questa congiuntura economica per far scendere il debito”.

Tutti sanno cosa deve fare il governo (italiano) ombra di Bruxelles, oppure questi sono troppo sicuri che la troika vincerà comunque e che gli italiani, un po’ masochisti, adorino i propri aguzzini. Oppure come temono molti democratici l’Unione si avvia, con tecnica contabile del cosiddetto debito, ad impoverire e soggiogare i cittadini, a diventare autoritaria (e già ci siamo un bel po’) e a seguire, prossimamente, dittatoriale. Charles Sannat, docente di economia e Direttore del Centro Ricerche Economiche di Parigi, ritiene questo concetto più che probabile in vista del crollo previsto e circostanziato dell’Euro e della nuova “bolla” bancaria statunitense in arrivo, appena annunciata dal crollo del colosso americano General Electric. Ritiene che la prima toccata e fuga sia stata il Brexit premonitore.

Oggi si può ritenere che il “Pilastro del welfare Sociale”, appena approvato a Goteborg il 17, dopo 20 anni di disastri irrecuperabili, non sia altro che una ulteriore beffa. Presenta una Carta che enuncia 20 diritti che i leader dell’Unione intendono realizzare nei prossimi anni, (ma diamine, si vota dappertutto?), che non tutti avranno tempo di aspettare le calende greche, ed è assolutamente inapplicabile; sappiamo anche che i pochi soldi rimasti vanno alle banche o ai padroni per continuare a giocare in borsa. Comunque si vive parecchio di speranza e di futuro.

La crescita in Italia quindi non è radicata nella realtà ma solo sulla carta, frutto di manipolazioni statistiche preelettorali e di convenienza. E poi tutto questo benessere che si prevede come si concilia con la povertà crescente, Germania compresa, in tutta Europa? Con gli insegnanti francesi pagati con “buoni pasto”? Con la politica e l’ideologia della disuguaglianza imperante? Perché anche questi Pil truccati, in fondo dicono una dura realtà: altri paesi del globo viaggiano quasi tutti a una velocità superiore ai nostri, soprattutto in Asia, purtroppo non in Africa, molto più vicini alle nostre percentuali. Questi Pil fatti per rasserenare dimostrano la lenta emarginazione dell’Unione a livello globale e le rigide politiche involute solo nel mercato interno.

Né tantomeno ci si può consolare con i livelli “alti” delle borse, compresa quella italiana, anche se minore delle altre. Ormai bisogna sapere che il rastrellamento e la raccolta fondi non servono più alle imprese per investimenti produttivi, già da alcuni decenni, ma semplicemente per: acquistare azioni di altre imprese, aumentando i livelli e i volumi di acquisto-vendite che sembrano “crescita” ma in realtà sono “bolla”; per non sottostare a prestiti bancari, comunque più esosi, per poter operare speculazioni finanziarie; per avere in portafoglio Buoni del Tesoro statali a tutela, sapendo che gli interessi, male che vada, li pagheranno i cittadini.

Possibile che i pensionati italiani abboccheranno alla promessa di una pensione a 1.000€/mensili, (a scapito di quelli che hanno versato i contributi per arrivarci, con una vita di lavoro), e in più non ho capito quante tredicesime e quattordicesime? Proprio quando i sindacati hanno estrema difficoltà ad ottenere anche minime concessioni nemmeno in campagna elettorale? Quando gli stessi “controllori” europei continuano a dire che la spesa pensionistica in Italia è troppo alta? Eppure quanti continuano ad abboccare alla “riduzione delle tasse”, come tanti nel passato abboccarono al “milione di posti di lavoro”. Da allora sono usciti dall’Italia circa 2 milioni di cittadini, in gran parte giovani, in cerca di lavoro. Il paradosso sta nel fatto che si possa promettere tutto l’immaginabile, ribadendolo nei mass media padronali ogni giorno con il sorriso fiducioso, sapendo che tanti abboccheranno di nuovo. Si può chiamare questo “politica economica” di un paese? Anzi non sono nemmeno contabilità spicciola e mance.

Abbiamo davanti a noi la sconfitta dell’economia nascosta dal canto delle sirene del “tutto va finalmente bene”. Coraggio e pazienza?

 

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