La Francia in sciopero

La Francia in sciopero

Tonino D’Orazio 21 settembre 2017

Macron, presidente francese, governa con prepotenza, pur essendo stato eletto solo da 25 francesi su 100. Che importa, il sistema elettorale è impostato, come in altri paesi democratici d’Europa, sul concetto dei consigli di amministrazione delle grandi imprese. Non serve la maggioranza assoluta degli “azionisti”, a volte basta anche meno del 10%. Che la sua popolarità stia in forte calo non dovrebbe stupire nessuno, gli altri 75 francesi su 100 già non lo sopportano più. Che sia un destroide proveniente dalle liste socialiste francesi non dovrebbe nemmeno stupire più di tanto. Una cosa sono le parole una cosa gli atti.

Non stupisce nemmeno che tutti gli atti dei governi europei, anche il primo importante per Macron, sia quello di distruggere i diritti dei lavoratori e i sindacati, ritenuti ancora troppo forti. In Francia ce n’è uno, la CGT (Confédération Générale du Travail), zoccolo duro, che non cede. Anzi rilancia da anni le azioni di sciopero e manifestazioni più solide, pur non essendo maggioritaria nel panorama sindacale francese.

Macron, con la sua riforma (sua è un eufemismo perché è voluta in tutta Europa dalla troika di Bruxelles) del mercato del lavoro e la precarizzazione dei lavoratori, scende ancora più in basso del jobs act di Renzi. Il ragazzo è primo della classe e secondo la sua professoressa d’inglese sembra lo sia sempre stato.

Il clima sociale si è estremamente deteriorato e non esiste più nemmeno la “consultazione” con le Organizzazioni sindacali, tanto a che serve. Anche perché, come in Italia con Cgil Cisl e Uil, le tre organizzazioni sindacali più grandi (CGT,FO,CFDT), non hanno trovato un accordo unitario. La CGT è quindi partita da sola con una prima manifestazione il 12 settembre che ha raccolto circa 500.000 persone. In testa alla manifestazione di Parigi vi erano i poliziotti della CGT-Police.  Ma i sindacati francesi funzionano più a categorie che a confederazione, per cui i primi a scendere in sciopero sono le categorie dei trasporti, scavalcando anche le loro tiepide confederazioni FO-CFDT, in modo unitario. Sono previsti altri scioperi e blocchi di tutti i servizi trasporto, tir, bus, treni, aerei e marittimi. Il segnale più inquietante per il governo sarà il tentativo di bloccare, in rifornimento carburanti, tutto il paese. Come già successo a maggio.

Il blocco dei depositi dei carburanti potrebbe essere un obiettivo” dice Jérome Vérité, Segretario Generale della CGT-Trasporti e aggiunge: “evidentemente sarà uno sciopero con conseguenze estremamente concrete sull’economia francese”. Per il momento l’ordine di sciopero nelle raffinerie non è stato emanato, ma si prevede comunque uno scontro durissimo.

Il calendario programmato è pronto. Il 18 settembre, primo sciopero dei trasporti su gomma; il 21 settembre mobilitazione della CGT; il 23 settembre, manifestazione indetta da Jean-Luc Mélenchon (movimento di sinistra France Insoumise); il 28 settembre, manifestazione dei pensionati, colpiti anche loro dai nuovi decreti, sia per l’età pensionistica sia per il blocco degli assegni. La Funzione Pubblica sia CGT che FO hanno indetto una giornata di sciopero da tenersi tra il 25 settembre e il 15 ottobre. E’ entrata nella contestazione anche la CFTC, (altro sindacato rappresentativi di tecnici e quadri), per una manifestazione, con sciopero, il 10 ottobre, approvata e accettata anche dalla CFDT.

Oggi, 21 settembre, mentre il governo approva i primi decreti, la CGT generale sciopera e manifesta in tutta la Francia, insieme a Union Syndacale Solidaires (dieci organizzazioni sindacali autonome e non confederate ma con programmi comuni). Si uniscono a questa giornata le tre federazioni dei metalmeccanici. Sabato a Parigi vi sarà quindi la manifestazione politica dell’opposizione di sinistra (Mélanchon e probabilmente altri che oggi manifestano con la CGT) ai decreti. Quindi una convergenza politico-sindacale non è esclusa. E’ risaputo che al contrario dell’unitarietà a tutti i costi, che poi non arriva mai veramente, autonomia a parte, avere una sponda politica vera serve molto di più alla legislazione a tutela dei diritti dei lavoratori che il rimanente “dialogo” dei sordi. Nel frattempo le varie categorie, autonomamente e spesso unitariamente, programmano forti iniziative per il mese e a seguire. Circa 1.500 “celerini”, nelle grandi città, si sono dati “ammalati”, per protesta contro la legge e per non scontrarsi con lavoratori “fratelli”. (Libération, oggi 21). Non è una notizia da poco.

In somma si moltiplicano i fronti sociali, di volta in volta unitari, proprio in un periodo di forte calo di popolarità del governo e del presidente Macron nei sondaggio (tra l’altro in difetto, perché sponsorizzati comunque dai mass media padronali). Da parte governativa le rigidità sembrano d’obbligo. “La democrazia non si fa per strada” lancia Macron da New York. La ministra del Lavoro Muriel Pénicaud, a ruota: “non faremo nessun un passo indietro”.  L’ironia è che ha fatto finta di riaprire il “dialogo” però per ribadirlo e quindi al tavolo fonetico CGT e FO hanno lasciato la sinfonia a un quasi “a solo” della ministra. Anzi ha proposto, ditemi se non è corruzione, annunciando una possibilità, di “emanare decreti specifici per aiutare i sindacati a svilupparsi”. Nel mentre la riforma tenta proprio di sminuire la rappresentanza dei sindacati nelle imprese e in senso generale di abolire i Contratti Collettivi Nazionali. Questi ultimi rimarrebbero solo per le imprese di più di 50 dipendenti. In Francia il 90% delle imprese sono sotto i 50 dipendenti. Queste piccole e medie imprese potranno fare accordi aggirando i sindacati. Ingenuità? No, semplicemente mala fede, con rischi degenerativi altissimi anche di gestione. In fondo, per il rendimento finanziario è meglio costituire una “impresa liquida” con dei salariati usa e getta. Significa che il capitalismo nega l’impresa come istituzione collettiva e sociale, sfacciatamente e contro le varie Costituzioni, anche quella francese. Il vero fascismo comincia da lì e sembra già averci convinto che è per il nostro bene.

Ma oggi, in Francia, entra in gioco un altro problema meno apparente: l’applicazione provvisoria del trattato CETA di libero scambio tra UE e il Canada (sapendo che quest’ultimo ha lo stesso accordo, se non peggio, con gli Usa, e per regola di transizione…). Anche se in questo momento dell’accordo risalta solo il pericolo per la salute e per l’ambiente non può sfuggire il rischio per imprese e lavoratori di trovarsi ad applicare le legislazioni privatistiche dell’economia e del mercato del lavoro del nord America, che anche se un po’ diluite per il Canada, non hanno nulla a che vedere con la storia sociale dell’Europa. Prima o poi i nodi arriveranno al pettine e non si prevede nulla di positivo per i lavoratori tutti, soprattutto per la funzione pubblica e i beni comuni. Anche se la Confederazione Europea dei Sindacati (CES) giudica il trattato CETA una opportunità e se “Il testo finale del CETA non è pienamente in linea con le nostre aspettative”, ha dichiarato in un comunicato di oggi Liina Carr, segretaria confederale CES. Spera in una revisione futura. Invece da noi siamo assaliti da feroci fatti di cronaca e qualche luogo comune di qualche solito politico, mentre il CETA “provvisorio” è già scattato.

 

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