Populismo o neoanarchia

Populismo o neoanarchia.

Tonino D’Orazio  25 settembre 2017.

Qual è il parallelismo tra il cosiddetto populismo e i valori socio-culturali dell’anarchia? Cosa possibilmente li accomuna idealmente e politicamente?

Il maggio ’68 parigino era profondamente anarchico in quanto non si rivolgeva, come in Italia con il Pci nell’autunno caldo del ’69, ai lavoratori, ma aveva di nuovo in sé i tre concetti della Rivoluzione francese con particolare interesse al primo: Liberté, Egalité, Fraternité. Era soprattutto un movimento libertario con caratteristiche umanistiche. Gli slogan efficacissimi, ancora oggi noti, erano dettati in gran parte dai Situazionisti, movimento culturale di analisi politico-sociale molto in anticipo sui tempi. Basta rileggere l’opuscolo “La società dello spettacolo” (1967) di Guy Debord per capire come si sia trasformata la dittatura della forma-valore, o forma-merce, cioè nel totalitarismo della merce e la negazione della vita umana e sociale. «Lo spettacolo è il momento in cui la merce è pervenuta all’occupazione totale della vita sociale», sicché «non solo il rapporto con la merce è visibile, ma non si vede più che quello: il mondo che si vede è il suo mondo», «è il mondo della merce dominante su tutto ciò che è vissuto». Nella società dello spettacolo «la merce contempla se stessa in un mondo da essa creato» (citazioni da Società dello spettacolo). Pudicamente oggi, l’impero della merce viene chiamata economia, ormai unico concetto “culturale” dilagante e pregnante. Lo spettacolo, globalizzazione, neoliberismo, si è espanso e consolidato, è molto potente in estensione (su tutto il pianeta) e in intensione (sulla quasi totalità dei comportamenti e degli oggetti). Eppure la totalità del dominio non sembra perfetta. La realtà spettacolare resta comunque fragile. Il lavoro del negativo e della contestazione non si arresta. Il lato “cattivo” della realtà rimane all’opera, e per dirla oggi con Debord, la situazione resta aperta e «le condizioni non sono mai state ovunque altrettanto gravemente rivoluzionarie». Il che obbliga i governi a una guerra preventiva contro la minaccia della negazione e il potere capitalistico dispiega un’enorme capacità distruttiva, ma sembra comunque che non riesca a sradicare il germe della negazione e della contestazione al suo valore unico di merce, anche umana.

Il parallelismo sta quindi nelle tipi­che tema­ti­che popu­li­ste, anti-casta e anti-banche, ali­men­tate dal dis­se­sto eco­no­mico (cioè alla riorganizzazione del capitale) e dalla forte sfi­du­cia popo­lare nei con­fronti delle isti­tu­zioni cosiddette libe­ral­de­mo­cra­ti­che ormai visibilmente asservite. Lo spettacolo ha i suoi lati oscuri, ingiusti e inumani. Chi se ne deve accorgere se non il popolo schiavo e sofferente? La liberaldemocrazia gli offre la possibilità di voto ma le lobby che la gestiscono gli impediscono prepotentemente di utilizzarlo. E’ l’attacco costante al popolo, che magari vorrebbe una vera giustizia sociale, quindi attacco al loro populismo perché rivendicativo. Cosa c’entrano libertà e giustizia con il valore assoluto di soldi (banche) e merci? Cosa c’entra la ridistribuzione della ricchezza prodotta? A chi deve rivolgersi il popolo?

A dispetto del loro dichia­rarsi non ideo­lo­gici, apar­ti­tici, né di destra né di sini­stra, i movi­menti delle piazze (gli Indi­gna­dos in Spa­gna e Gre­cia, Occupy Wall Street negli Stati Uniti, allora le pro­te­ste in Tur­chia e Bra­sile, il M5S in Italia), con­di­vi­dono un’ideologia comune, chiamiamola anarcopopulismo. L’anarcopopulismo com­bina temi anar­chici, come il rifiuto degli appa­rati buro­cra­tici, e la richie­sta di auto­ge­stione con orien­ta­menti popolari, come la fidu­cia nella volontà della mag­gio­ranza e il profondo e storico sospetto verso le élite. Non sono più i no-global, ma il “cit­ta­dino” e la “per­sona comune”, sog­getti tipici della tra­di­zione del popu­li­smo demo­cra­tico che cercano insieme di sfuggire alla presa di potere asfissiante e inumana delle elite.

Oggi il re è nudo. Oggi, di fronte all’evidenza del disa­stro sociale da que­ste pro­dotto, le parole d’ordine con­tro ban­che e isti­tu­zioni hanno acqui­stato un forte richiamo mag­gio­ri­ta­rio, come si evince dalla par­te­ci­pa­zione nei movi­menti di piazza, a fianco dei gio­vani pre­cari metro­po­li­tani e di mem­bri della cosid­detta “mag­gio­ranza silen­ziosa”: nego­zianti, pic­coli impren­di­tori, impie­gati, spesso con valori mode­rati se non con­ser­va­tori e operai poveri. Ci sono vari collant, per esempio la con­ver­genza tra pre­cari e classe media in deca­denza, quest’ultima perché impoverita da un sogno di benessere non costruito per lei. Vi si combina l’antiautoritarismo della cul­tura anar­chica con l’odio, giustamente, verso le élite, i ban­chieri e i poli­tici cor­rotti; la fede nella capa­cità degli indi­vi­dui di auto-organizzarsi al di fuori dell’autorità; la fidu­cia nella mora­lità dell’uomo comune, “il cittadino”; il concetto a­nar­chico della demo­cra­zia par­te­ci­pa­tiva (già tradotto per esempio in Bilancio Partecipato) con il principio di una demo­cra­zia diretta, senza media­zioni. Questi movimenti si rap­pre­sen­tano come una sorta di contro-parlamento, un luogo deci­sio­nale che riven­dica la sovra­nità popo­lare e si pro­pone come voce della volontà col­let­tiva, in oppo­si­zione al par­la­mento uffi­ciale dipinto come tra­di­tore del man­dato popo­lare (spesso non a torto) ed espres­sione degli inte­ressi della “casta”, solo delle elite, ai quali vengono regalati i beni comuni e vengono sostenuti, tra l’altro proprio da servili partiti che pur prendono consenso dai ceti deboli e sfruttati, il Popolo. In realtà ormai il re è nudo. Certamente nessuno può definire il capitalismo nevrotico attuale come “normalità” umana senza essere complice.

Ma il neocapitalismo imperante in questa “società dello spettacolo” ha tutto l’interesse di denigrare fortemente questi movimenti che negano il suo predominio con una forte carica di contestazione. Vengono quindi descritti come incapaci di “governare”, incoerenti nelle strategie per diventare maggioranza, disorganizzati, semplicistici, incapaci di svi­lup­pare un’alternativa al loro sistema, anche se assurdo perché inumano per quanta miseria e morte comporta. Vengono costantemente presentati, (potere dei mass media, proprietà di queste elite!), fram­men­ta­ri, rissosi e disper­sivi, e di come non sanno dare soli­dità, per­si­stenza e coe­renza stra­te­gica alle bat­ta­glie per la demo­cra­zia e la giu­sti­zia sociale che pur i movi­menti delle piazze, compreso internet, hanno comin­ciato a com­bat­tere, e che sono ancora ben lon­tane dall’essere vinte, semmai sarà possibile.

Ironia della logica: non sono capaci di fare così bene come i capitalisti e di strutturare il sistema cosiddetto liberale in modo che “Non ci sia Alternativa”, nemmeno tramite voto, a costo di modificare opportunamente tutte le leggi elettorali. Se non addirittura proporre leggi contro chi “discredita” le loro istituzioni. Esiste ancora il vecchio adagio anarchico: “Se il voto potesse cambiare qualcosa verrebbe sicuramente abolito”. Oppure come dice il grande saggio di sinistra (memoria) re Napolitano dopo la tremenda sconfitta al suo disegno, tramite Renzi, di stracciare la Costituzione: “non tutti dovrebbero poter votare”.

Infatti, per una migliore globalizzazione rapinatrice, avanzano altri camaleontici populismi che non hanno nulla a che vedere con la giustizia sociale: “British first”, “America first”, Deutschland first”, “Italy first” … Ma per questi siamo sempre lì e sempre contro il popolo.

 

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