Colpo di stato in Svezia

Colpo di stato in Svezia
Tonino 5 febbraio 2012
Se le elezioni democratiche dovessero danneggiare il neoliberismo in espansione, allora è meglio non fare votare i cittadini. Semplice.
I fatti. Nelle ultime elezioni svedesi è cresciuto nei voti un nuovo partito, SD, considerato quindi “populista” (come se gli altri non si riferissero al popolo), fino al 12%. Diciamo un partito di opposizione. Al momento del voto sul bilancio dello stato si è alleato con un altro partito e dopo il voto contrario, è normalmente caduto il governo.
Dappertutto, nelle nostre democrazie, si va a nuove elezioni, tanto che queste vengono indette per il 22 marzo prossimo. Ma ecco che i sondaggi danno alla SD una percentuale così ampia da scombussolare gli eventuali storici accordi, in modo tale che né i Socialisti-Verdi né il Centro-destra avrebbero potuto governare ancora. Temendo di perdere le poltrone occupate da anni in amabile alternanza decidono di spartirsi i posti non più alternativamente ma simultaneamente. Per sempre. O comunque fino al 2022, data della prima revisione del loro accordo.
Quindi niente votazioni nel 2015. L’altra sarà nel 2019, ma il popolo, indipendentemente dal voto, saprà in anticipo la composizione del governo e la spartizione già effettuata. Il governo rimarrà al suo posto indipendentemente dai risultati. Ma se in televisione appare il governo vestito da abiti civili, non da militari pretoriani, e il parlamento una farsa, allora è un colpo di stato. Chi avrebbe immaginato la Svezia come una repubblica delle banane?
Oppure è un nuovo concetto della democrazia al quale bisogna trovare un altro nome credibile. Oppure è la maschera della democrazia rappresentativa, nella sua versione post-moderna e corrotta, che finalmente cade.
In apparenza le istituzioni democratiche restano in piedi, ma svuotate. L’accordo tra socialisti-verdi-centro-destra organizza un sistema di governo doppio. Il parlamento ufficiale (costituito da nominati in liste bloccate), rimane in piedi, ma nell’ombra e in segreto, i sette partiti tradizionali, decidono le politiche. Ogni tanto presentano le decisioni al parlamento che le ratifica, una semplice formalità. La democrazia è salva.
Il nuovo sistema può essere descritto come dittatura consensuale. Chi governerà nei prossimi 8 anni avrà tutti i poteri del tipo dittatoriale: bilanci, linee politiche, maggioranza garantita. Sembra che cercheranno l’unanimità su questioni come la difesa, la sicurezza, le pensioni e l’energia. Perché no? Abbiamo davanti tutte le esperienze delle “Grosse Koalitionen”, ufficiali o nascoste, di vari stati europei, e per i propri interessi anche degli americani.
Questa volta, mi dispiace, ma gli svedesi non sono all’avanguardia. Ci siamo noi, con tutte le analogie del patto segreto del Nazareno. I nostri già sanno che rimarranno fino al 2018 e che con la prossima legge elettorale un po’ truccata sono garantiti per il futuro. Mattarella non ancora.
L’arrivo al potere in questo modo non è la prova di una falla nella democrazia ma il risultato di manovre di corridoio, vestite dal bel nome di governo di unione, (da noi celato/evidente imposto dall’ex di tutto Napolitano), che nega di per sé le scelte differenziate dell’elettorato. La questione è quella dell’onestà di quelli che si dicono democratici e poi si accordano per neutralizzare i voti che non gli convengono. Si è democratici o non lo si è. E’ un concetto indivisibile, come quello della libertà. Non vi sono eccezioni. Chi manipola in nome della governabilità, o di qualunque cosa, è altro.
Quali conclusioni trarre da queste situazioni?
Uno, i grandi ideali di democrazia o di valore della Costituzione esplodono immediatamente quando la casta si sente minacciata. Due, contro questo non vi è difesa con il voto: il putsch si fa discretamente, nelle notti di negoziazioni e patti segreti, poi è troppo tardi. I puschisti cambiano immediatamente le regole del gioco, anche la Costituzione, in corso d’opera. In nome del dio riforme, che pochi sanno per fare cosa e a che fini. Però lo sa bene il neoliberismo, cioè il vero moderno neofascismo. I Padri costituzionali avrebbero dovuto imporre, per modificare la Costituzione, una maggioranza del 90%; mai potevano immaginare che non bastasse il 75%. Non immaginavano l’avvento di un nuovo Partito Unico che potesse stravolgerla così facilmente. Partito vagheggiato dalla loggia P2 e in corso d’opera. Non avevano creduto all’idea che aveva Gramsci sul potere monopolistico della borghesia capitalistica.
Un umorista diceva che se proprio i politici sono così aggrappati ai soldi, alle prebende, li si potrebbe pagare in anticipo e farli rimanere a casa. Farebbero meno danno e costerebbero di meno. Un uomo inutile costa solo il suo salario, mentre un parassita attivo costa in più tutti i danni giornalieri che è capace di fare. Pensate che beneficio anche nel caso del governo … Tanto, un parlamento che ratifica soltanto quello che decide il capo è inutile, (30 carrozzoni-leggi passati con voto di fiducia in sette mesi), se non per la sceneggiata e la commedia dell’arte. “Non sono d’accordo ma lo voto”. Per la maschera della democrazia. Potrebbero anche votare da casa, almeno non ci sommergerebbero di chiacchiere.
Si può dire che in Svezia la democrazia è morta. La Svezia non è lontana. Altri paesi seguono. Il nostro anche. Non è un caso. Il neoliberismo o il fascismo non hanno nulla a che vedere con la democrazia. Anche il concetto di libertà è a senso unico. L’economia dell’Europa è moribonda e anche le democrazie lo sono, perché assoggettate solo ad essa. L’ultimo rantolo permette a questa gestione europea di legarsi mani e piedi, con il trattato TTPI (anche qui una immensa truffa da Nato economica, segreta), un atto di assoluto asservimento e di cessione totale di autonomia alla potenza nord americana. Gli unici capaci di difendere e proteggere il neoliberismo rampante qualora qualche popolo si svegliasse in Europa, si ricordasse la sua storia, e mettesse la vita degli esseri umani al primo posto invece delle merci e delle banche. Anche per svegliarsi mi sembra tardi, ma vale la pena tentare, almeno di pensare e ragionare. Anche questo è una forma di lotta.

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