Prostituzione di stato

Prostituzione di stato.
Tonino D’Orazio. 18 marzo 2014.
Tralascio la parte storica della prostituzione nell’era antica, dove veniva considerata addirittura un obbligo sacro da Assiri, Babilonesi, Egiziani e anche Greci e Romani. Divenne poi estremamente riprovevole e punibile dalla cristianità statalizzata in poi, fino al tardo medioevo. Ma non per tutte (e tutti), perché le prostitute venivano considerate e divise diciamo in “escort” di lusso o volgarmente puttane. A secondo del rango e dell’utilizzo necessario. Il tema è scabroso, ma in fondo vi dirò perché analogico, interessante e premonitorio.
A Roma, siamo nel Cinquecento, come era avvenuto tempo prima per la costruzione delle Terme di Caracalla e successivamente per il selciato di Piazza del Popolo anche la Basilica di San Pietro fu finanziata da una imposta sulla prostituzione che fruttò una somma quattro volte superiore a quella ricavata dalla vendita di indulgenze.
Le prostitute erano chiamate in gergo ufficiale Donne Curiali perché dipendevano direttamente dalla Curia che rilasciava regolare licenza di esercizio, assegnava determinati posti dove potevano svolgere la loro attività, imponeva la tassa sul “mestiere” e le costringeva tutti i sabato pomeriggio a recarsi nella chiesa di S. Agostino per ascoltare la predica al fine di ricondurle alla retta via. L’ipocrisia è proprio un arte.

A Napoli erano costrette a portare gonne sopra al ginocchio, per distinguersi dalle donne oneste mentre in Francia dovevano portare un laccetto rosso tra i capelli, lungo circa un braccio e mezzo.
A Bologna potevano andare in giro solo nei giorni di mercato indossando un cappuccio con un sonaglio. A Venezia i ruffiani erano obbligati a palesare il loro mestiere indossando abiti gialli. Staremo a vedere quale articolo della legge ci proporrà cosa.
Comunque, la prima casa autorizzata dalla legge e di fatto costruita, aprì i battenti a Messina nel 1432 durante il regno di Alfonso d’Aragona. Nell’editto era scritto a chiare lettere che “Le femmine non hanno diritto a preferenza in fra questo e quell’ospite. Tutti quelli che si presentano devono essere ricevuti e accontentati eccezion fatta per i leprosi, i briachi fuori di senno e coloro che mostrassero pustole e piaghe ripugnanti all’eccesso” (Ma un pochino sì!).
Per ragioni sempre legate al controllo dell’ordine pubblico si divisero le prostitute in diverse categorie: la donna innamorata, una specie di cortigiana del tempo, la concubina che frequentava uomini di elevato ceto sociale, la cantunera, cioè colei che si prostituiva per le strade, la “donna di partito” che esercitava nei luoghi autorizzati dalla legge, la “schiava”, costretta con la violenza a prostituirsi.
Anche nel periodo rinascimentale la prostituzione sopravvisse tra la proibizione e la tolleranza. Ad esempio Alfonso d’Aragona, re delle Due Sicilie, legalizzò di fatto lo sfruttamento dando ad un suo confidente la “patente di roffiano”. Era autorizzato, cioè, a tenere donne atte al meretricio in uno stabile civile, perché potessero concedersi all’ospite con pace e decoro. Il roffiano era autorizzato a tenere metà del prezzo pattuito, l’altra spettava alla donna. Possiamo considerare roffiano lo Stato ? Magari insieme a biscazziere per il gioco d’azzardo?
A Roma, i palazzi della curia erano pieni di questo tipo di donne e la Chiesa condannava duramente solo le “puttane libere” in quanto sfuggivano al controllo e al pagamento delle imposte. Infatti le comuni prostitute quando morivano non avevano diritto alla sepoltura cristiana e venivano inumate ai piedi del Muro Torto dove esisteva un cimitero sconsacrato che accoglieva tutti coloro che lasciavano questo mondo senza la benedizione della Chiesa. Tuttavia queste povere donne venivano perdonate ed evitavano la vergogna di una simile sepoltura se ad un certo punto della loro vita peccaminosa, si pentivano o addirittura si facevano monache. Quindi le puttane in grazia di Dio avevano la possibilità di ritirarsi in un monastero in Via delle Convertite e dedicato a Santa Maria Maddalena, la più celebre prostituta “convertita” della storia. Fatte salve le malelingue su Gesù.
La Chiesa anche in questa circostanza, sempre prima dello Stato, adocchiò il business e con l’ordinanza di Papa Clemente VIII si impose che tutti i beni di queste donne fossero devoluti al monastero che faceva da tramite verso le casse del Vaticano. In questi beni erano ricompresi anche le proprietà di quelle signore, la cui vita di piacere era stata scoperta solo dopo la morte. Le prostitute che invece facevano in tempo a redigere testamento erano obbligate a lasciare alle Convertite un quinto dei loro beni.
Da considerare che tale ostracismo e l’intervento dell’autorità e del clero diede una forte impennata ai prezzi (il mercato è mercato!) e quindi relegò il fenomeno ad una attività di nicchia.
Siamo nel periodo della controriforma. Furono chiusi i bordelli municipali e le ètuves (una sorta di bagni pubblici, luoghi ideali) e la Chiesa diede inizio alla “ghettizzazione” delle prostitute identificandole con segni distintivi come poteva essere per esempio un fiocco rosso. (Famosa la Lettera scarlatta).
La Prussia (quando si dice l’efficienza tedesca) fu il primo paese europeo, nel 1700, ad adottare una nuova politica contro la prostituzione e le malattie: il sistema di controllo che venne varato rendeva obbligatori l’autorizzazione delle case di tolleranza, la schedatura delle loro pensionanti e i controlli sanitari. Ben presto altri paesi seguirono l’esempio.
La Gran Bretagna rese obbligatoria la visita medica alle prostitute che lavoravano nelle zone portuali e militari. Tale misura diede luogo ad una sorta di “sesso sicuro ed affidabile” per cui circoscrisse il fenomeno relegandolo in zone ben identificate. Alle forze di polizia erano concessi poteri straordinari per identificare e registrare prostitute, costrette a subire ispezioni corporali obbligatorie. Le donne che rifiutavano di sottoporsi volontariamente potevano essere arrestate, portate davanti a un magistrato e identificate come prostitute. La schedatura ad esclusivo giudizio della polizia scatenava evidenti ingiustizie sotto forma di soprusi e ricatti. Basta riferirsi anche ad oggi, quando i problemi sociali diventano solo di “ordine pubblico”. La legge sul divorzio introdotta nel 1857 (però!!) consentì ad ogni uomo di divorziare dalla propria moglie per adulterio, ma viceversa una donna poteva divorziare dal marito adultero solo se l’adulterio si associava alla crudeltà. (Sic!)

In Italia solo nel 1859 Camillo Benso conte di Cavour emise un decreto che autorizzava l’apertura di “case” in Lombardia sotto controllo diretto dallo Stato. La legge venne fatta più per un favore all’alleato francese che per dovere di regolare il fenomeno, in quanto Napoleone III, in occasione dell’appoggio ai piemontesi contro gli austriaci, si preoccupò che la sua truppa avesse bordelli a disposizione.
Tale decreto segna di fatto la nascita delle “case di tolleranza” (tollerate dallo Stato) in Italia seguito nel 1860 da una legge più in dettaglio che regolava la modalità di apertura di una casa, le imposte (ovviamente), il controllo igienico e le tariffe che al tempo andavano dalle 5 lire per le case di lusso alle 2 lire per le case popolari (cifre comunque alte se si pensa che la paga giornaliera di un operaio ammontava a 3 lire). Alcuni anni dopo la legge del 1860 fu emendata e allo scopo di favorire il sesso nelle case chiuse rispetto alla prostituzione libera vennero abbassate le tariffe, ridotte fino a 1 lira (agevolazioni tradizionali: 50 centesimi per i militari e 70 centesimi per i sottufficiali) per le case popolari. Quando si dice uguaglianza di classe. Case concepite nell’esclusivo utilizzo di erogazione di servizi legati al sesso per cui fu vietata la vendita di cibo, bevande o l’organizzazione di feste e balli e quant’altro. Era inoltre vietata l’apertura delle medesime in prossimità di luoghi di culto, asili e scuole e, soprattutto, le persiane della casa dovevano restare sempre chiuse. Ecco il perché del nome “case chiuse”.

Nel 1949, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la “Convenzione per la soppressione del traffico di persone e lo sfruttamento della prostituzione altrui”, affermando che la prostituzione forzata è incompatibile con la dignità umana, richiedendo a tutte le parti coinvolte di punire i protettori e i proprietari dei bordelli e gli operatori (anche lo Stato?) e di abolire tutti i trattamenti speciali o la registrazione delle prostitute. La convenzione fu ratificata da 89 paesi ma la Germania, i Paesi Bassi e gli Stati Uniti (sempre all’avanguardia!) non parteciparono. Si vede che ebbero altri criteri sulla dignità umana.
Oggi, in Germania la prostituzione è riconosciuta come un vero e proprio lavoro. Le case chiuse legalizzate. Le lavoratrici del sesso godono di garanzie assicurative in materia di malattia, disoccupazione e pensione. L’orario è regolamentato (5 giorni a settimana), come le ferie (un mese l’anno) e nessun obbligo di prestazioni sessuali non volute. Iscritte al sindacato. Vuoi vedere quanto la legge di Renzie sarà vicino alla concezione della Merkel?

Nei primi anni del nuovo secolo e soprattutto con l’avvento della cultura fascista i bordelli (chiamati così perché situati ai bordi delle città) diventano icone di virilità e celebrazione del maschio.
Il funzionamento delle case chiuse era molto semplice. La tenutaria generalmente ex prostituta, reclutava le “pensionanti”. Generalmente rimanevano quindici giorni, contro i rischi di innamoramento e di protettori. Prendevano il 50% della marchetta, il resto andava alla tenutaria e alle tasse. Il numero delle prestazioni giornaliere di ciascuna prostituta si aggirava attorno alla quarantina e il pagamento era sempre anticipato. Le ragazze dovevano essere titolari di un libretto sanitario, in assenza del quale non era possibile “lavorare”. Ad un certo punto anche la tessera del partito fascista.
Le case furono definitivamente chiuse nel 1958 quando entrò in vigore la legge Merlin. Il 20 settembre 1958 furono chiuse ben 560 case d’appuntamenti con oltre 3300 posti letto frequentate ufficialmente da 2705 ragazze registrate come prostitute professionali che contribuivano ad un fatturato totale di circa 15 miliardi di vecchie lire dell’epoca. Una manna! Magari per l’integerrima Guardia di Finanza un nuovo studio di settore. Per favore non cominciamo a contare quanti milioni potrebbe incassare oggi lo Stato, in questo caso pappone, altrimenti toccherà capire anche come la sempre avida casta se li spartirebbe. E se ne dessero una piccola parte ai pensionati?

Ora si torna indietro, per il “bene di tutti”, argomento indiscutibile del pensiero unico e grimaldello per un altro piccolo passo verso l’abolizione della libertà individuale. Ovviamente: “Non si tratta di legalizzare la prostituzione, ma di regolamentare quello che avviene nella realtà, togliendo il fenomeno dalle strade e sottraendolo alla malavita”. Certo, si intende anche quella maschile.
Chi potrebbe non essere d’accordo.
Il corpo è mio e lo gestisco io? Delle donne? Ma vah!
La storia qui riportata, che potete leggere in dettaglio sul sito http://www.liberaeva.com, (in fondo alla pagina web nel riquadro: Storia della prostituzione) serve semplicemente a verificare se la prossima legge di regolamentazione del fenomeno (in greco:ciò che appare) riesca ad inserire, articolo per articolo, tutti questi argomenti repressivi, e connotativi, chiesa cattolica permettendo o aiutando. Oppure come verrà aggirata la legge, salvo i voyeurs e gli spioni bigotti.

 

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