Il richiamo della foresta

Il richiamo della foresta
Tonino D’Orazio. 26 aprile 2015.

Succede in Cgil. All’iniziativa di Landini, la Camusso stringe le fila dei pasdaran dei segretari generali di alcune categorie della confederazione per il blocco alla “deriva”. Aspettando la Conferenza di Organizzazione.
Dice Landini, ma sembra Di Vittorio : “Il nostro obiettivo principale è cambiare le politiche economiche e sociali del governo, che riteniamo del tutto sbagliate, a partire dal Jobs Act“. Un nuovo Statuto, il contratto nazionale, una vera rappresentanza. Insomma, per i riformisti politici a “tutti i costi”, roba d’altri tempi.
Intanto l’attacco della Camusso: Se un movimento si basa su un programma politico generale, e si va oltre la rappresentanza del mondo del lavoro, diventa oggettivamente una formazione di ordine politico. Poi ovviamente non può non ammettere che il sindacato è per forza di cose anche un soggetto politico. Ma fa politica sul lavoro e partendo dagli strumenti che gli sono propri, come la contrattazione”. “Rappresenta i lavoratori, insomma, non i cittadini in senso lato: e la sua forza sta proprio in questa parzialità. La Cgil rivendica sempre la centralità del lavoro ed è molto gelosa della propria autonomia. Un po’ di veleno in coda: le considerazioni sulla collocazione personale dei dirigenti sindacali e politici naturalmente sono loro scelte personali. Messo il punto sul concetto stretto di confederalità contrattuale e di linea si scatenano le prese di posizioni.
Stefania Crogi, segretario generale Flai Cgil e Rossana Dettori, segretario generale Fp Cgil: no a sindacato che si sostituisce alla politica. Un po’ schematiche ma chiare. Forse il concetto sembra valido anche in modalità inversamente proporzionale.
Parte sparato Franco Martini, (ex area socialista), segretario confederale: “La coalizione sociale? Non è il nostro mestiere”. Come se fare della contrattazione il terreno in cui continuare a contrastare gli effetti negativi delle politiche del governo fosse realmente possibile, e in fondo giusto e chissà anche fino a che punto legale. Un piccolo richiamo all’ordine costituito non fa male: “Ma è chiaro che se la manifestazione del 28 dovesse cambiare pelle, diventare il battesimo di una soggettività politica, ci sarebbe da fare una riflessione”.
Segue Walter Schiavella, segretario generale della Fillea, cioè degli edili, quelli di quasi un morto al giorno, pieno di immigrati schiavizzati al nero, della pensione solo dopo più di 50 anni di lavoro e ai quali i governi succedutesi hanno quasi abolito il numero degli ispettori per amor dei padroni. Il sindacato deve solo “contrattare”. Ci ha aperto un seminario nazionale con altre categorie, Filt, Filctem, Filcams, Nidil, il 1° aprile.
Dobbiamo cambiare radicalmente le politiche economiche e sociali di questo governo, dobbiamo recuperare voce e peso alla rappresentanza delle ragioni del lavoro. Dobbiamo. Dobbiamo. Mai una autocritica sui risultati ottenuti fino ad oggi. Su questo siamo tutti uniti. Abbiamo punti di vista diversi sul come farlo. Occorre rispondere a due interrogativi: chi interpreta la confederalità? E se non viene più interpretata poiché si ammette la debolezza totale del sindacato? Con quali strumenti agisce la relazione politica? E se non esiste da tempo la relazione politica, se non nell’appiattimento generale al PD, se non alla Troika riformista (poiché chiedono sempre e solo riforme strutturali, cioè per sempre, sulle spalle dei lavoratori) di Bruxelles?
Poi il siluro. Occorre una politica di alleanze sociali, ma esse non possono dar luogo a pericolose evoluzioni. Su quali strategie e quali strumenti usare paiono chiaramente alternative fra loro. Su questo occorre misurarci: fra chi ritiene prioritaria la strada del movimentismo e delle alleanze sociali a tutto tondo e chi pensa invece che esse vadano costruite partendo dalla centralità del lavoro e, quindi, della contrattazione. Noi, come noto, siamo perché dal lavoro e dalla contrattazione si debba partire”. Non si può prescindere dalla necessità di consolidare l’unità tra Cgil Cisl Uil. Cioè il vecchio sine qua non che avanza, che non funziona più realisticamente da 20 anni se non per frenare, e che intende lasciar scivolare la Cgil nell’indebolimento e nella non rappresentanza generale del lavoro, se non quella di coloro che già ce l’avevano e che man mano usciranno dal tempo indeterminato, o dalla continua chiusura delle fabbriche. Gli altri, sempre più senza diritti e più sfruttati, non sanno che farsene del sindacato. Chiedetelo al Nidil che se non avesse i precari pubblici, ad alto tasso politico, non esisterebbe. Tutti sanno, dalla precarizzazione delle leggi Treu (Pd) in poi (1995) che i precari non possono assolutamente iscriversi al sindacato pena il licenziamento immediato. Più oggi che ieri. Il gurù dei riformisti Ichino pontifica soddisfatto: “Il Jobs Act è fatto per licenziare”.
La Gabrielli, seg. Filcams, (Terziario, Turismo e Servizi) ha appena rinnovato il “contratto”. 85€ in tre anni, al quarto livello però. A fine ottobre e per il futuro, ma già programmato da Renzi dal novembre scorso, l’aumento dell’IVA al 25,5% (oppure tagli agli sgravi fiscali) si sarà già rimangiato tutto. Ma questo non c’entra con il contratto che va “comunque fatto”. Cosa hanno ceduto i lavoratori sui diritti di vita o di benessere per ottenere questo “aumento stipendiale”? La difficile sopravvivenza oraria di sfruttamento a chiamata diretta del padrone e la possibilità, legislativa e non contrattuale di essere licenziati su due piedi. Quisquiglie schiaviste. Più soldi, per finta, per meno diritti reali. Il concetto di soddisfazione rimane alla radice: “sempre meglio di niente”.
Carla Cantone e Maurizio Landini, si ritrovano in un incontro – dibattito aperto ai cittadini, dopo la manifestazione Fiom di Roma, nel corso del quale i due dirigenti nazionali indicheranno gli obiettivi della nuova stagione sindacale. Chiarissima l’importanza della posizione dello SPI, sindacato compresso ma maggioritario della Cgil, per lo sviluppo dell’ipotesi Unions. I pensionati Cgil, che hanno perso una grande percentuale del loro già misero potere d’acquisto, rimangono un elemento chiave per la costruzione delle Unions, che dovrebbe raggruppare proprio chi soffre di più la politica neoliberista della povertà. Cantone precisa però all’agenzia Ansa di non voler discutere del nuovo soggetto politico del segretario della Fiom. Meglio la fuga. Chi conosce la Cantone sa quanto si sia speso per sostenere Cuperlo (Pd) nella campagna per le primarie di quel partito, malgrado il giuramento continuo sull’autonomia. Malgrado il dialogo sostenuto con il negazionista Civati.
Altri rimangono nell’analisi della situazione, spiegandola in dettaglio a chi la vive.
Slc (Lavoratori Comunicazione). Michele Azzola. “Aver deciso, con il Jobs Act, di incentivare le assunzioni ha avuto come conseguenza che le aziende che si presentano ex novo alle gare, con personale che costa oltre il 30% in meno rispetto a chi già gestisce il servizio, vincono gli appalti escludendo il personale che garantisce il servizio stesso. Nei prossimi mesi assisteremo alla sostituzione di tutto il personale che opera nei call center, o nelle cooperative sociali, generando drammi sociali in tutta la penisola”. Non creazione: sostituzione.
Il leit motiv è quello di sempre: abbiamo il dovere di rappresentare la realtà del lavoro per cambiarla. Dopo tutto quello che è già stato fatto? Tutti continuano a lanciare grande idee di contrattazione futura. Ha ragione Michele Prospero nella sua analisi di una realtà da prefascismo: “Con le scelte legislative che il governo Renzi ha imposto a tappe forzate, il mondo del lavoro è stato colpito su cruciali questioni di identità, di memoria, di interessi collettivi. Un attacco così sistematico e totale progettato per distruggere il sindacato come soggetto democratico, per cancellare le conquiste del lavoro e la sua dignità nello spazio sociale, a nessun governo era mai riuscito”. In fondo nemmeno a Mussolini. A questo e di questo deve rispondere la Cgil ai lavoratori italiani, tutti, senza venire a scusarsi dopo. Allora ben venga Landini se ridà fiato alla storia dei lavoratori! Ma non sembra il momento nemmeno in casa. Dopo la fiammata mediatica è tornato un silenzio stampa previsto.
Renzi, mentre i sindacati si muovono, ha già fatto terra bruciata intorno a loro, e per legge, alla quale anche la Cgil non può “disubbidire”, imporrà la visione dei padroni anche sui tanto vantati contratti. Il resto è, e sarà, ascolto, fino alla prossima pretesa dei padroni. Ammettiamo che rimane poco, oltre il famigerato diritto di sciopero che presto sarà tutto nelle mani del ministro di turno, riformista o di destra.
Quando il sindacalismo, punto di forza delle vere emancipazioni, della dignità del lavoro nei fatti, si cancella, tutto si degrada, non solo il lavoro, tutto si sposta e in quel vuoto le piazze si riempiono sia dell’estrema destra che degli integralismi religiosi o razziali. Tutti e due cancellano il termine solidarietà e dividono e spezzettano la società in interessi di clan e lobbie. Per questo Renzie è di destra. Del neoliberismo più becero e fascista che comincia a preoccupare anche il Tribunale Europeo dell’Aia. Ma simpatico, gioviale, finalmente di nuovo uno che comanda e che ci salverà. Dopo la “riforma” elettorale per i prossimi 20 anni.

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