Brexit, la certezza del regime

Brexit la certezza del regime.

Tonino D’Orazio 30 giugno 2016.

Anche perché mai come adesso è uscito fuori cosa pensa veramente la borghesia del popolo. Anche la piccola borghesia intellettualoide, pur in uno stato di sindrome di Stoccolma (la vittima che ama l’aguzzino), quasi come il “popolo”. I perdenti insultano, negano, minacciano, fanno persino ostruzione, bisogna rivotare (si cercano i cavilli) e ognuno si riprende i propri giocattoli. Tutti in coro, a reti e giornali unificati e in tutte le lingue. Compresa la paura scatenata nel voto spagnolo dalle minacce nemmeno velate della troika di Bruxelles sul Brexit. E per gli altri a seguire, alla ola del:”Brexit? Britannici fuori e subito!”. Allora è veramente successo qualcosa. Si è sgretolato uno strano edificio, si è spezzato un cerchio magico che sembrava senza alternativa. Eppure abbiamo già visto che i referendum popolari non vengono mai applicati e spesso subdolamente elusi in un modo o in un altro. Tutti.

L’elemento principale è che il referendum non serve quando si perde e che a votarlo sono spesso degli ignoranti da educare. Questi propositi indicano a che punto il regime totalitario è arrivato culturalmente, senza che nessuno si stupisca più di tanto.

La crema degli intellettuali europei ciancia di “calda Europa” dei popoli, luminosa e democratica, magari il popolo, più realisticamente, subisce la fredda Europa dei tecnocrati, autoritaria e burocratica sulla propria pelle. Altrimenti perché metà della popolazione europea (sondaggi paese per paese) vorrebbe uscire dalla dittatura del quarto reich? E statene certi che alla fine ci riuscirà, anche se con le ossa rotte.

I benestanti che dall’ineguaglianza istaurata da questa Unione, in fondo, ne traggono vantaggio e non sono masochisti, trovano che il Brexit è banalmente il risultato di un uso irresponsabile del voto. Plaudiranno al suo imbrigliamento, o dilazionamento tecnico, parimenti alla concezione che hanno del popolo. Mica gli si può lasciar fare o pensare quello che vuole al popolo. Addirittura qualcuno, indecentemente, sul Fatto Quotidiano, che in genere non è tenero contro la politica dell’austerity inutile e dannosa della Troika di Bruxelles (motivo principe della decisione popolare, ma un po’ scomparso dal dibattito e rimpiazzato dai banditori con la paura degli immigrati), cito: “Si può chiedere un maggiore ricorso al voto popolare soltanto se gli elettori prendono sul serio il proprio compito, se danno un voto consapevole, faticoso. In caso contrario la democrazia diretta diventa circonvenzione di incapace”.

Lasciamo fare a chi è capace e competente, oppure a chi, da minoranza da almeno 20 anni, pensa di modificare l’Unione dall’interno (compreso il Labour), ma soprattutto è meglio non analizzare realisticamente i risultati. Che addirittura il referendum non si dovesse proprio fare si sono schierati, in Italia, i peggior politici oligarchici e autoreferenziali di questi ultimi anni: Napolitano, Monti, la Fornero, la liberaldemocratica Repubblica e tutti i giornali e le reti televisive, i rappresentanti della Confindustria, intellettuali prezzolati, in pippe di commi e controcommi, Renzi (che è stato obbligato a indirne uno – ah santi Padri Costituzionali!- e sentito l’aria che tira non sa più cosa fare). Anche qualcuno a “sinistra”, ma sarà un ultimo retaggio del sistema della “rappresentanza” oligarchica e illuminata del vecchio PCUS, risultata storicamente abbastanza lontana dal popolo.

Insomma questo abbindolabile popolo bue, insultato e impoverito, operaista e ubriacone (è stato scritto anche questo), senza speranza di futuro e che aspetta la “fine del tunnel” promesso da almeno un decennio, in tutta Europa, ha avuto l’ardire di pensare, di non crederci più e di non essere d’accordo, e in fondo di disdire la loro fiducia ai partiti tradizionali e alle istituzioni dell’Unione. In fondo anche alla “sinistra” che lo dovrebbe, storicamente rappresentare. Che roba contessa! Non ha più voluto votare contro i propri interessi. La maggioranza, seppur risicata, del popolo britannico ha votato contro una Europa neoliberale, contro una oligarchia di burocrati al servizio del capitale, anche se si cerca di nasconderlo il più possibile con altri argomenti non di fondo. Che tenerezza Cameron che dopo aver “combinato questo gran casino” per uso politico personale (è quello che gli rimproverano i suoi) chiede le dimissioni del presidente del Labour, Corbyn (“Per l’amore del cielo, vattene!”). Ha ragione Corbyn a non dimettersi, a ricominciare dalla base, scremando tutti i “mediatori” blairiani ancora ancorati a concezioni e mediazioni centriste, e tentando di ricostruire un rapporto con il popolo, i diseredati, frutto delle politiche della Troika, e il mondo del lavoro. Negli ultimi discorsi Corbyn e il suo stretto alleato, il cancelliere ombra, John McDonnell, hanno presentato una posizione molto forte per la sinistra, di “rimanere” e di lottare per un radicale cambiamento economico, sociale e democratico nella UE. Strano, subentrata la paura alla spagnola, la stessa cosa sembrano dire oggi i 5Stelle, tra l’ironia dell’alleato separatista inglese Nigel Farage.  E’ possibile togliere il potere dall’interno ad una oligarchia di non eletti, imposti dall’esterno (aggregati bancari multinazionali), che non rispondono a nessuna istituzione democraticamente eletta, che smantella tutta la storia sociale europea con l’acquiescenza blindata e la partecipazione della “sinistra” europea?  Ma il problema di un referendum è quello di cancellare destra e sinistra o opzioni preconfezionate su un unico tema, senza mediazioni, perché in queste vincono sempre i più forti. In questo caso è valido il tema del basso contro l’alto? E’ successo veramente?

La reazione dei ricchi, delle oligarchie finanziarie e bancarie, pronte a “punire” un popolo intero, a tagliargli, da strozzini, eventuali risorse, sembra non colpire nessun intellettualmente onesto liberaldemocratico. Già prima del referendum Standard & Poor’s aveva “avvertito”, senza pizzino, che in caso di Brexit la Gran Bretagna avrebbe potuto perdere il fantomatico rating AAA. Prontamente effettuato il giorno dopo. Moody’s ha annunciato che il credit rating britannico è stato appena ridotto da “stabile” a “negativo”.  Poteva mancare al coro il compare Ficht? Parigi e Berlino (ma anche Milano, “proprietà” della City, e questo non fa ancora ridere nessuno) si sono offerti ad ospitare le società e le multinazionali che forse vorrebbero “scappare” dalla Borsa di Londra. Penso però che la Gran Bretagna non sia la Grecia, la Spagna e altri paesi impauriti e proni davanti ai padroni internazionali. Il commercio e il mercantilismo appianeranno gli scogli, altrimenti è a perdere per tutti e per oggi bastano le perdite per le sanzioni alla Russia. E poi, chi impedisce più di rendere veramente la City ancora più area free tax? La Merkel, Hollande, Renzie, l’Unione?

L’esperienza ci dice: che la Troika non mollerà, perché per sua esistenza non può riconoscere i referendum, che si troverà un nuovo sistema di relazioni commerciali privilegiate (la Germania già piange per l’esportazione futura delle sue macchine), come quello Efta preesistente all’Unione, che la Nato supplirà la “difesa comune” insieme alla Gran Bretagna contro il nemico comune, insieme agli americani, la sempiterna Russia, che per il passaggio delle frontiere per gli europei, forse solo turisti, è bastato il commento rassicurante di Cameron nel dire che non cambierà nulla, ecc… Che i tagli allo stato sociale se li faranno da soli. Il referendum è quasi recuperato di fatto.

Non si può che augurare il bene possibile al popolo, ai popoli. La democrazia è il governo del popolo, attraverso il popolo, per il popolo. Il resto è altro, anche se ben nascosto e travestito da grande idea generosa, umanista e progressista, l’Unione. L’altra idea, scippata e distrutta, era la Comunità Europea dei popoli fino al Libro bianco di Delors, del sociale e del lavoro, di 30 anni fa.

Si può ricominciare, se si vuole o si deve, solo da lì. Se non è troppo tardi.

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