La socialdemocrazia senza i social democratici

La socialdemocrazia senza i social democratici

Tonino D’Orazio  17 maggio 2016.

Da nessuna parte ormai, nemmeno nel PSE cioè i socialisti europei, vi sono ideologicamente i socialdemocratici, né di programmazione né di organizzazione. Nulla in confronto a quello che abbiamo conosciuto. La crisi non è più ciclica ma esistenziale, è radicata nei profondi cambiamenti culturali e tecnologici che hanno bruciato loro l’erba sotto i piedi. La socialdemocrazia, la convinzione che un partito, in una nazione, e che in gran parte attraverso lo stato sia in grado di creare un insediamento che favorisca l’interesse del lavoro sul capitale, sta morendo (eufemismo) come pratica politica.

Eppure ovunque le persone sono alla ricerca di nuove risposte e nuovi modi di realizzare la loro umanità comune e condivisa, la partecipazione, fino alla sopravvivenza del pianeta. Un mondo che sia sociale e democratico è più urgente che mai. La democrazia “abbonda”, ma non nella nostra farsa bipartitica (o bipolare al centro) di un sistema all’americana “esportato” nel mondo. Questo spiega la nascita di nuovi partiti e tanti nuovi movimenti on e off-line, e però anche la crescita esponenziale delle destre in Europa. Potente rigurgito nazionalista contro una globalizzazione imposta da banche e oligarchie finanziarie? Corresponsabilità della socialdemocrazia nella situazione, poiché sappiamo bene che le destre non lotteranno mai contro il neoliberismo, un ceppo infettivo e virulente del capitalismo. Non solo ne fanno parte ma ne saranno i migliori garanti nel futuro, quando ci sarà bisogno di autoritarismo. Ukraina e Turchia docet. Questo lo sanno anche i destroidi della troika di Bruxelles, come ultima carta eventualmente da giocare.Ma lo sa anche il PSE? Oppure pensa di massacrare i lavoratori e lo stato sociale in tutta Europa, che i loro padri hanno costruito nel sangue, pur di sembrare “moderni” e “riformisti”? Sono i lavoratori che devono votare a destra, passando dalla padella alla brace, per fare ricordare loro che esistono?Se sta succedendo questo, allora la socialdemocrazia, alcuni dicono già dalla fine del secolo scorso, è in via di forte declino. Con loro tutte le considerazioni, gli ideali e gli acquisiti sociali conquistati nel secolo scorso, quando contavano qualcosa, insieme ai lavoratori che li sostenevano, sono sperperati. Oggi sono in modo particolare loro che li smantellano al posto degli avversari storici. Fanno il lavoro “sporco” che mai i capitalisti avrebbero potuto fare così facilmente. Sporco perché è un lavoro di autoritarismo, di forza, bypassando Parlamenti (ricatto del voto di fiducia, oppure l’art.49.3 del diritto di decisione esclusivo del presidente francese, non a caso, il socialista Hollande per varare il suo Jobs Act), i referendum, i corpi sociali e i sindacati, cioè tutta la struttura democratica e partecipativa di un Paese, alla Napolitano maniera.

I nemici, perché incompatibili con la democrazia, i capitalisti, hanno cercato sistematicamente di sradicare tutte le alternative alla loro visione del libero mercato. Hanno eroso e smantellato tutti i luoghi e gli spazi in cui il bene comune potrebbe mettere radici. La privatizzazione non è stato solo un programma per le imprese, ma sia per le nostre menti, e sia per le nostre identità in quanto consumatori individualistici. Tant’è che riescono  a farci comperare le cose che non sapevamo che ci servissero, con i soldi che non abbiamo, in uno spreco infinito di risorse. A sua volta, questo consumo turbo ha un enorme impatto sull’ambiente. Oggi siamo sull’orlo di un cambiamento climatico galoppante. Nel Pacifico già scompaiono alcuni atolli. Ma la fame, la povertà e la disperazione si sta installando in tutta Europa. Le soluzioni, nel passato, sono state le decimazioni per guerra, oggi qualche minaccia, se costruiscono meglio l’orco designato, c’è già in giro.Una società basata sul turbo-consumo rompe ogni legame sociale di solidarietà ed empatia, perché è, per definizione, egoista e competitiva. Il turbo consumismo uccide il bene comune e con esso le antiche speranze ideali, anche dei socialdemocratici al potere, di una società più giusta.

Il che non cambia nulla con  la rivoluzione digitale, i social media, il passaggio ad una società in rete che tenta di rivoluzionare il nostro modo di vedere, di pensare e di agire perché viene citato con faciloneria irresponsabile e fatale come: “è la globalizzazione, bellezza!”. Il mondo è diventato plurale, complesso, disperso e diversificato, con più opportunità, probabilmente più ricco di contatti, con informazioni meno pilotate, ma non per questo deve diventare meno umano e barattare solo sfruttamento e massacro di vite. Solo il sociale condiviso e la cooperazione sono umani. Il resto è rapina e sfruttamento.

Di fronte alla drammaticità delle questioni, ci vorrebbe uno scatto rinnovato e forte sulle questioni di vita, di uguaglianza e di benessere, vecchio cavallo di battaglia di idealità socialiste, libertarie e popolari mai sopite. Ma la socialdemocrazia, il PSE, non ha più né la forza, né la capacità e forse nemmeno la voglia. Sta lasciando in mano ad altri, (l’avversario ritenuto troppo spesso “amico”), la sua storia e un pezzo della nostra, del mondo che produce.

Un’altra difficoltà della socialdemocrazia attuale è quella della democrazia stessa. La crisi della democrazia che abbiamo di fronte è quella della democrazia rappresentativa. Sempre più persone non hanno bisogno o non vogliono gli altri a rappresentarli. A costo di non votare più. Possono “fare da sé”. Questo è uno dei motivi per cui stanno emergendo nuove forme dirette e deliberative della democrazia. Nascono sulla sfiducia totale del vulnus democratico del bipolarismo che fa le stesse cose contro il popolo per il bene di pochi. L’universalità della crisi, anche se i suoi effetti sono irregolari, ci dice che qualcosa di grosso sta accadendo. La crisi si manifesta sotto forma di Pasokificazione in Grecia, di ascesa di Podemos in Spagna e la relativa caduta del PSOE, di profilo basso della SPD in Germania, di debolezza di governo dei socialisti francesi, anche della crisi sociale, e della democrazia liquida nei paesi nordici. Nel Regno Unito la crisi si manifesta prima nel dominio del SNP in Scozia, in sostituzione del partito del lavoro e della sinistra, e poi attraverso la straordinaria ascesa del Corbynismo, l’anno scorso all’interno del Labour, che, insieme con il Bernie Sanders in rivolta negli Stati Uniti parla al fallimento della socialdemocrazia, dei democrat proni e guerrafondai. Ma nessuna di queste rivolte dall’interno è ancora riuscito ad irrompere in modo significativo con un processo democratico essenzialmente sociale e fortemente condiviso. Anche se l’accento è posto maggiormente sui movimenti sociali, la priorità rimane ancora il processo legislativo non ancora nelle loro mani. Per cui anche la sinistra socialdemocrazia è ormai fatalmente compromessa e rischia di promettere ciò che non può. In quanto al mondo del lavoro, che dovrebbero rappresentare, non riescono a addomesticare il nuovo che avanza anche nei modi di produzione. Seguono quello che viene chiesto loro dai padroni, semplicemente.

Di questo mondo del lavoro, dove la fusione di diversi filoni di tecnologia sta cambiando del tutto come, dove e anche se lavoriamo. I dati variano da 10 a 46% dei posti di lavoro persi, a secondo dei paesi, a causa della convergenza di intelligenza artificiale, robot, algoritmi avanzati, big data, stampa 3D, e quindi un drammatico cambiamento sta avvenendo nella natura dei mercati del lavoro e della produzione di merci e servizi. A sinistra nessuno gestisce niente. Il partito decisionista del lavoro in Italia è diventato Marchionne e i padroni non lavorano più per il benessere della società (art. 41 della Costituzione: Responsabilità sociale di impresa) ma per loro stessi.

Lo sviluppo di nuove (?) idee politiche di trasformazione, come ad esempio una settimana corta di lavoro, e per tutti, un reddito di base e la democratizzazione dei poteri dello stato, tutto questo e altro ancora si potrebbero prestare a una nuova prospettiva sociale, tipicamente loro nel quadro comunque di un capitalismo borghese meno arrogante. I socialdemocratici dovrebbero valutare la qualità post-materiale di questioni di vita e non solo il materiale e la quantità di consumo. Dovrebbero impostare una politica per limitare il tempo di lavoro, di democrazia sul posto di lavoro se non di proprietà, un reddito di base e controlli rigorosi sia sull’inquinamento che sulla de-crescita. La seconda sfida sarebbe quella di un cambiamento radicale in termini di internazionalità. Se il capitalismo è andato al di là della nazione, anche la socialdemocrazia non ha altra scelta che seguire. C’è la necessità di regolare e controllare i mercati, ovunque si fanno danni a persone o al pianeta. Se al PSE fossero diversi potrebbero cominciare dall’Europa. Magari su temi come i salari minimi a livello continentale, o meglio ancora un reddito di base, fondi di solidarietà e aliquote armonizzate d’imposta sulle società e le persone fisiche. Ricondurre la funzione democratica tutta al Parlamento europeo.Ma di che parlo?In termini gramsciani classici siamo in un interregno, definito dal fatto che  “il vecchio non è ancora morto e il nuovo non è ancora nato”. E’ la sfida della modernità è già persa. In questa fase storica la socialdemocrazia non c’è, e la sinistra nemmeno. Arrancano.

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