Trump, Obama e l’oligarchia globale

Trump, Obama e l’oligarchia globale

Tonino D’Orazio 21 novembre 2016

Malgrado il voto democratico abbia premiato Trump, tutto l’establishment, la struttura di potere mondiale e americana, non demorde.  L’establishment non ama il popolo e il popolo sembra averlo capito e lo ripaga, non solo con il devastante Brexit, ma anche in tanti altri paesi occidentali, sempre di più. Tutti i mass media, dipendenti ormai dai grandi gruppi finanziari, comprese le televisioni considerate di “stato”, ormai fanno una ridicola tenerezza. Continuano imperturbabili ad offendere Trump, già considerato un incapace, e a sponsorizzare la Clinton che invece continua la spaccatura del proprio paese aizzando alla “resistenza” nelle piazze, dimostrandosi ancora di più per quello che è, una donna di guerra, di divisione. Però molti politici, eccetto quelli dai valori europei merkelliani che pensano ancora di essere rassicurati dall’uscente Obama, che non conta più nulla in questi ultimi sei mesi, se non negli ultimi due anni avendo avuto contro Senato e Congresso, iniziano a cambiare casacca. Anche il nostro obamiano Renzi, ultimamente in finzione anti UE, cioè prima del voto referendario, ha telefonato, lui, a Trump e non viceversa. Al mondo ci sono servi e servi.  Trump sembra già averne una nozione abbastanza precisa di quelli utili e quelli inutili perché già valvassori se non valvassini.

Non che Trump mi piaccia, ma se già ha affossato quell’obbrobrio di TTIP (non a caso, dopo la visita di Obama, Merkel capisce che non si farà, e prende prima le distanze), e probabilmente anche quello asiatico, (Trans-Pacific Partnership, Tpp), qualcosa potrebbe cambiare anche per l’Europa, se si capisse veramente anche a sinistra se siamo pro o contro questo tipo di globalizzazione. Se facesse smettere le sanzioni alla Russia (qualcuno ringrazierà per il gas che continua a fornirci?) e allentasse le tensioni guerrafondaie della Nato non sarebbe un punto a suo, e nostro, favore? Però sappiamo quanta amministrazione ha contro, forse tutta quella messa in piedi in tanti anni dai cosiddetti neo-con e quelli del Nuovo Ordine Mondiale (NWO).

Tanto nessuno crede che gli Stati Uniti possano accettare un mondo multipolare. Il “rifare grande l’america” è solo una continuità. Loro il concetto di “impero” ce l’hanno sine qua non, alimentato da decenni dall’educativa arma cinematografica, (avrete pur notato che sono sempre loro che salvano il mondo?) e Trump comunque non sarà da meno da tutti gli altri presidenti. Difficile ritirarsi da 12 guerre in atto. Inoltre, non sfruttare il mondo ne va del benessere del proprio paese, come altrettanto non rubare petrolio, non vendere armi e non sperimentarle in varie guerre. Eppure oggi, a loro disposizione vi sono solo le armi, e non è detto, poiché sullo scenario internazionale si affacciano concorrenti sempre più agguerriti. L’economia non è più il loro appannaggio esclusivo seppure blindato da vari trattati bidoni, oltre alla Cina ormai primo paese produttore (se non fosse che quella europea asservita e non essendo unita, non viene conteggiata), sale anche di molto l’alleanza del Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) e l’accordo già strutturato, tra di loro, per un paniere di scambio di valuta per allentare il predominio del dollaro come moneta di riferimento, pietra basilare ma vero tallone d’Achille “dell’impero”. Tra l’altro quelli che ne detengono una grande quantità in “riserva” li stanno liquidando, perché non più affidabili da tempo, e ironia della sorte, finché valgono ancora qualcosa, li utilizzano per massicci investimenti. Ultimamente la Cina ha prestato miliardi di dollari ai paesi arabi petroliferi in difficoltà per la perdita di rendita con il calo del prezzo del petrolio; ha comperato milioni di ettari di terreno nel corno d’Africa e investito somme enormi nello sfruttamento minerario e nell’economia australiana. Questi ultimi sono stati costretti politicamente ad allentare le rigide norme per l’immigrazione dei cinese e a restringerle per i paesi europei, eccetto ovviamente per la Gran Bretagna e i paesi del Commonwealth.

Trump fa parte di questo quadro, dell’oligarchia miliardaria, e sicuramente si renderà conto che l’impostazione mondiale (la globalizzazione) difficilmente sarà deviata da un nuovo protezionismo che potrebbe lasciare più spazio alle potenti economie concorrenti. Questo ha voluto dire Obama e rassicura i suoi vassalli, compresa la sperduta Merkel, che non sa più dove “guidare” l’Unione. Lo ha detto Obama chiaramente con il suo messaggio rassicurante:”il sole sorgerà anche domani” e poi con le ultime visite internazionali ai più fidati. Per dire che non è cambiato nulla ai loro livelli. Non essendo un proverbio indiano né un versetto biblico, è una allusione massonica per rassicurare i poteri forti che già comandano il mondo e dire loro che “tanto… non cambia niente”, oppure “non faremo cambiare un gran ché”. Il sole è sempre lo stesso e non cambia.

A meno che, essendosi reso conto di come il mondo stia comunque cambiando, invece della forza propria che alla lunga li dissanguerebbe, Trump non invaliderebbe la nozione che i loro “amici”continuassero a non pagare la “protezione-quota”, e non voglia utilizzare nuovi accordi commerciali e la stabilità internazionale promessi. Trump sa che molti paesi si sono messi sotto il loro ombrello di protezione (e da chi,dopotutto?) e quindi può riscuotere. Tra l’altro Obama dice che è un vero pragmatico. Allora sicuramente ci toccherà pagare il conto.

Ma gli Stati Uniti non possono sopravvivere senza guerre. Sarà uguale anche per Trump. Una “guerra economica” con la Cina non potrà che passare attraverso il rafforzamento militare, anche se inutile, del Pacifico asiatico. Il Giappone è già stato convocato per primo. Inutile anche perché la Cina non ha bisogno dei colossali gruppi finanziari, delle multinazionali americane e dei loro dollari. Inoltre la Cina fa parte del WTO (Organizzazione mondiale del commercio) e difficilmente la si potrà cacciare senza tsunami mondiale che ormai coinvolgerebbe tutti, Usa compresi, in un ritorno autarchico non tanto velato.

Trump non è anti-globalizzazione, anche se sembra a molti, e non potrà fare a meno di “rendere grande gli Stati Uniti”. Con una sola religione imperiale e metodista negli Stati Uniti non è possibile perché vi convivono “in guerra” decine di religioni; con l’economia sembrano esserci alcune difficoltà mondiali; rimangono armi e eserciti. I suoi generali consiglieri e i segretari di stato alla sicurezza non potranno essere diversi da quelli attuali, se non per tessera partitica. Quindi “il sole sorgerà anche domani”.

Le guerre continueranno anche se l’assetto mondiale è diventato a geometria variabile. Intanto in Medio-Oriente. Gli Usa sono incastrati con accordi capestro con due paesi molto amici, Israele e l’Arabia Saudita che tendono e lavorano da sempre a una guerra “risolutiva” contro l’Iran. La pianificazione decennale delle azioni destabilizzanti portate avanti già dai Bush e ricondotta in modo consensuale tra repubblicani e democratici, con i Clinton e Obama, non potrà essere cancellata di colpo senza il sostegno rivoluzionario dei generali e dell’esercito verso una pacificazione globale. Non è proprio il caso di pensarci e difficilmente Trump potrebbe arrestare il fiume di denaro pianificato per gli armamenti, tra l’altro da ditte private con migliaia di lavoratori che non saprebbe in nessun modo come riconvertire. Pensate solo ai 90 F-35 acquistati dall’Italia per 13 miliardi oppure da altri paesi per centinaia di velivoli che ancora non si alzano in volo correttamente e con acconti e pagamenti già anticipati. Ma anche il diritto di tutti i cittadini di essere armati, per rispetto alla costituzione.

La propaganda è una cosa, anche se ha adescato il popolo e le sue aspettative, la realtà è un’altra e gliela faranno capire i senatori e i deputati del suo partito, più che le ingiurie massmediali messe in piedi dai democratici e dai quattro drappelli di manifestanti in arancione.

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