Nuove pillole economiche (2)

Tonino D’Orazio. 2 febbraio 2018.

Il fondo pensione degli Eurodeputati è in deficit. Quindi il buon popolo europeo dovrà rimpinguarlo di 362 milioni ogni anno dal 2024. La notizia è riportata dai giornali tedeschi Bild e Zeit secondo un rapporto interno del Segretario generale del Parlamento europeo Klaus Welle. Era un fondo a versamento volontario, nato nel 1990 e chiuso ai nuovi membri nel 2009 con l’introduzione di un regime pensionistico contributivo obbligatorio. Il rapporto indica che più di 700 deputati sono in pensione. Nei prossimi 4 anni altri 145 ne beneficeranno. Troppi eurodeputati in pensione, contributi poco elevati … evidentemente si arriva al deficit, come per esempio per tanti fondi italiani scaricatisi poi sull’Inps. E non è finita.

Altro elemento interessante: “Una quota di questi fondi generano interessi di circa il 2% mentre ce ne vorrebbero almeno al 5% al ritmo attuale, da cui il deficit nel 2024”. Eh già! Con i tassi, così vantati vicino allo zero, il rendimento non assicura l’avvenire e la solvibilità dei sistemi a … capitalizzazione. Non inquietiamoci troppo per i nostri eurocrati, il popolo pagherà le pensioni a quelli, e a quelle, che tutti i giorni, a Bruxelles o a Strasburgo, li tradiscono e si lasciano corrompere dalle lobby per il suo bene.

Gli hackers rubano una somma record (530 milioni di $) in una Borsa giapponese (Coincheck) di scambio di criptomonete (le NEM), in seguito ad un’intrusione “non autorizzata”, (però questi ligi giapponesi!), nel sistema tecnologico cosiddetto “blockchain”. La Borsa ha confermato di aver limitato le transazioni anche delle altre criptomonete. Insomma non hanno preso tutto. Era già successo a un’altra Borsa giapponese di scambio dei Bitcoins, la Mt. Gox, nel 2014, con una perdita di 442 milioni di $.

Il presidente di Coincheck, Koichiro Wada ha presentato le sue scuse e rilevato (ti pareva!) che avrebbe sollecitato un’assistenza finanziaria pubblica per i danni subiti. (secondo l’agenzia Kyodo). Purtroppo, con la globalizzazione, le tradizioni (harakiri o sepuko) si perdono anche in Asia.

In un’intervista rilasciata a Piers Morgan della tv britannica Itv, durante Davos, Trump ha sparato letteralmente a zero sull’Unione Europea. Una vera guerra commerciale, quella degli amici statunitensi all’Europa, che avrà effetti altamente nefasti in Italia mettendo a rischio 40 miliardi di esportazioni Made in Italy, che hanno raggiunto nel 2017 il record storico grazie ad un aumento del 9,8% rispetto all’anno precedente. Gli statunitensi si collocano al terzo posto tra i principali consumatori di prodotti italiani dopo Germania e Francia, ma prima della Gran Bretagna. I prodotti più consumati, oltre oggetti di gran lusso, sono il vino davanti a olio, formaggi e pasta. Diciamo gran parte dei prodotti che non possiamo ufficialmente vendere ai Russi.

Il dubbio che invece rimane, in una guerra (o guerriglia) dove dovranno trovare la media per forza, è quello di un rilancio del TTPI, l’accordo di libero-scambio con un Trump commercialmente di nuovo vincitore, bypassando i movimenti anti. Antipatia a parte la logica di questo miliardario dovrebbe metterci in guardia, Trump è sicuramente un eccellente uomo d’affari. In realtà si può non amarlo, anche odiare, come cercano di farci fare quelli del clan-lobby avverso, però non bisogna farlo stupidamente, lasciandosi sommergere da un’ideologia primaria anti. America first, lui l’ha proclamato, gli altri l’hanno sempre fatto.

 La Banca privata d’Italia indica (dati al 30 settembre 2017) che su 1.500 miliardi di prestiti effettuati dalle banche italiane, 1.200 sono stati concessi a un ristretto numero di soggetti premiando chi, in buona parte, ha causato il dissesto con cui il Paese sta facendo i conti da alcuni anni: ovvero le grandi famiglie industriali, i gruppi societari e le grandi aziende, cioè quelli più a rischio di insolvibilità. L’incidenza percentuale sul totale delle sofferenze bancarie ascrivibile a questo ristrettissimo club di affidati, ammonta all’81% del totale. In altre parole, le grandi imprese continuano a ricevere la quasi totalità dei prestiti bancari, sebbene presentino livelli preoccupanti d’insolvenza. Rimangono a piedi proprio le Piccole e Medie Imprese (PMI), cioè quelle che forniscono il 90% dei posti di lavoro in Italia. Tutti hanno capito, ma la mattanza bancaria continua.

L’hedge fund americano del miliardario Ray Dalio, il Bridgewater (Fondo comune d’investimento, soprattutto statunitense, soggetto ad una normativa molto elastica e caratterizzato da una gestione parecchio rischiosa di capitali privati per vendite allo scoperto), ha dato mandato di vendere allo scoperto tre miliardi di euro di azioni italiane. La mossa è stata fatta in vista delle elezioni politiche perché i mercati finanziari temono l’instabilità (la loro) dopo il voto del 4 marzo per l’affermazione del Movimento cinque stelle come primo partito. Ecco perché chi scommette contro l’Italia vende le sue reginette quotate in Borsa: da Generali a Unicredit, da Enel a Eni, da Atlantia a Terna, da Intesa a Snam”. Valeva la pena privatizzare? Peccato non regalare loro ricchi dividenti, le cavallette azionarie se li meritano.

 

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