L’ineguaglianza è illegittima.

L’ineguaglianza è illegittima.

Tonino D’Orazio. 16 gennaio 2017.

Ciò che colpisce di più nel dibattito televisivo dei candidati delle primarie della “sinistra” francese, tralasciando la totale condivisione di tutti della linea guerrafondaia di Hollande, è il concetto minoritario che essi hanno sull’uguaglianza dei cittadini, compresa la ridistribuzione del reddito prodotto dal proprio paese. Uno solo, Benoit Hamon, ha difeso questa ridistribuzione come elemento morale, sociale e civico decorrente dall’assioma repubblicano francese “Liberté ,égalité, fraternité”. Gli altri, stessa area, gli si sono scagliati addosso. Motivi addotti? Demagogia. Il “valore” del lavoro come “libertà”. (Mi spiace parafrasare: “arbeit macht frei” per altri significati). Senza rendersi conto delle parole, cioè chi non lavora non è libero, ma prigioniero. Il reddito universale di cittadinanza porterebbe ad una società di individui “dolce far niente” e di assistiti. Costerebbe tanto quanti soldi sono già stati distribuiti alle banche. (Sic!). I padroni, dove troverebbero i lavoratori da job act necessari alle loro produzioni se il reddito minimo facesse concorrenza alle loro misere paghe? In fondo cosa importa se la disoccupazione e la povertà strutturali sono in forte aumento? Che i migliori vincano.

Ecco il punto, la destrutturazione della società e dell’individuo, l’impoverimento del sentimento collettivo.

In un dibattito sullo Statuto Reale, costituzione belga, nel 1830, (ottenuto con rivoluzione e mai più abolito malgrado le “restaurazioni” di quel secolo), visto che funziona e praticamente mai “riformato” nei suoi principi, se non nel suo aspetto “federalista” negli ultimi decenni, la discussione portò sul fatto che “bisognava garantire ad ogni cittadino il proprio sacco di patate, per lui e la propria famiglia”. Oggi purtroppo c’è chi nel sacco ha una patata sola, magari da condividere, e chi invece non sa che farsi di una montagna di sacchi ma continua ad accumularli.

Purtroppo la parabola è valida in tutto il mondo e ha tradizione antica. Anzi l’ineguaglianza è la profonda storia di tutta l’umanità sin dalle origini. A volte è questione di appropriazione forzata, altre, più sottili, determinano il furto per legge, rendendolo giuridicamente legale.

Ironia di tutte le Costituzioni? Propongono a tutti il diritto all’eguaglianza, sia nella giustizia che nel vivere in comune. Non vietano un arricchimento giusto, (non si tratta del noto detto:”la proprietà è un furto”), ma, in fondo, non vietano veramente il modo. Non vietano lo sfruttamento, la precarietà, il mantenimento nella miseria, anzi sottilmente, a conti fatti, ne ribadiscono “la necessità” affinché pochi possano accumulare più sacchi di patate di cui possano aver bisogno a scapito degli altri.

I già ricchi pensano che le differenze di reddito o di attività si basano sulle differenze di capacità o di sforzo e che quindi sono ampiamente considerate legittime. Quelli più sensibili, del bon-ton, a bocca chiusa, dicono che chiedere politiche redistributive, nel peggiore dei casi, derivi semplicemente dalla gelosia di classe.

Sta di fatto però che non è facilmente né logicamente sostenibile, pur avendo tutti a disposizione 24 ore di vita al giorno, che la retribuzione di un dirigente sia più alta di 100, anche 1.000 volte più alta, di un lavoratore. Non può essere un problema di “produzione”. Basta leggere la relazione di Oxfam International sul 2016 per capire l’estrema anomalia, se non la follia, sulla distribuzione globale della ricchezza.

La disuguaglianza è in gran parte un fallimento del mercato, dell’ideologia del libero mercato ma anche  delle strutture politiche, dei governi, pur degnamente previsti dalle Costituzioni cosiddette “liberali”, che non hanno avuto la capacità di progettare giudiziosamente l’equilibrio delle istituzioni ed amministrare i diritti, nemmeno entro limiti civili. Diventano quindi “illegittimi” dal momento che non applicano la loro Costituzione e si lasciano più che influenzare, anzi dettare la linea privata da seguire, dai cosiddetti “poteri forti”. La dicitura non esiste in nessuna Costituzione democratica anche se piccoli gruppi dirigono impunemente intere nazioni; scriverlo sarebbe un ossimoro flagrante. Le stesse oligarchie impediscono le opportunità tese a diminuire le disuguaglianze. Opportunità possibili attraverso l’istruzione e la politica del mercato del lavoro, nonché i risultati attraverso le imposte e i trasferimenti di ricchezza. In questo senso sono sanzionabili le risposte politiche di destra o di “sinistra” per la loro somiglianza e appiattimento a decisori anti-democratici. Difficile negare l’evidenza delle prove, anche freddamente numeriche, di distruzione del tessuto sociale costruito con tanti sacrifici e vittime negli ultimi decenni del secolo scorso. Gettare un’occhiata indietro serve almeno a capire da dove ripartire.

Una delle con­se­guenze più deva­stanti della mercificazione, privatizzazione e finanziarizzazione dei beni e ser­vizi essen­ziali e insostituibili per la vita (e, per questo,considerati intrinsecamente comuni e pub­blici) è stata la deco­sti­tu­zio­na­liz­za­zione e il lento sgretolamento dei diritti umani san­citi nella quasi tota­lità delle Costi­tu­zioni del XX secolo. Gli Stati ave­vano assunto, costituzionalizzando i diritti, di creare le con­di­zioni neces­sa­rie e indispensabili, anche sul piano delle risorse finan­zia­rie, per garan­tire la loro effet­tiva concretizzazione, tra­mite la disponibilità e l’accesso per tutti ai beni e ser­vizi stru­men­tali al soddisfacimento dei diritti.  Que­sto ha com­por­tato una presa di responsabilità diretta col­let­tiva in mate­ria dei beni e ser­vizi, non solo da parte dei poteri pub­blici rappresentativi ma anche da parte dei cit­ta­dini stessi, da qui, oggi, la spinta forte in favore di un ritorno a una demo­cra­zia partecipata, se non più partecipa. Non a caso non si riesce più a partecipare, altri ci gestiscono da “altrove”, da un “non luogo”. I poteri domi­nanti hanno impo­sto il prin­ci­pio che i costi di quelli che non erano più considerati dei diritti (uni­ver­sali) ma bisogni-merci (vitali varia­bili, dif­fe­renti, anche aria, acqua e lavoro) dove­vano essere coperti da coloro che ne trae­vano un’utilità pro­pria, spe­ci­fica, individuale, eliminando il senso di “comunità”.

La sosti­tu­zione dei diritti dei cit­ta­dini e della fisca­lità pub­blica (due delle più grandi con­qui­ste sociali del secolo scorso), con i biso­gni dei cittadini diventati consumatori ed i prezzi di mer­cato, è stata pos­si­bile per­ché tutte le classi diri­genti al potere dagli inizi degli anni ’70 non hanno più cre­duto, né cre­dono nemmeno oggi, nel prin­ci­pio dell’uguaglianza di tutti gli esseri umani rispetto ai diritti (che sono, per l’appunto, uni­ver­sali, indivisibili e imperscrittibili). Cre­dono invece nella falsa con­ce­zione della natu­ra­lità e, quindi, inevitabilità dell’ineguaglianza “strut­tu­rale” nelle sue tre forme prin­ci­pali di come gli uni (soprat­tutto i domi­nanti) “vedono” gli altri e agiscono di conseguenza: l’ineguaglianza di “stato” (per quanto riguarda il genere, il colore della pelle, le cre­denze reli­giose, le classi, i popoli); l’ineguaglianza di “posi­zione” nella scala sociale (le funzioni/il lavoro, i ruoli, i poteri …); l’ineguaglianza di “capa­cità” (secondo il red­dito eco­no­mico, spe­cie patri­mo­niale, e quindi la divi­sione in ric­chi e poveri, autoc­toni e stranieri …).

La lotta per l’eliminazione delle ineguaglianze rispetto ai diritti è stata nel passato il motore delle principali rivolte, insurrezioni, rivoluzioni sociali e politiche, insieme alla lotta per le libertà collettive. Il NO alla definitiva destruttura della nostra Costituzione significa anche questo? L’uguaglianza è la condizione di esistenza della giustizia in seno alle comunità umane. Il divenire dell’Europa non potrà essere fatto da coloro che predicano e praticano l’ineguaglianza e l’esclusione. L’ineguaglianza e la disuguaglianza sancite da Leggi, Regolamenti, Direttive, (da oligarchie sfacciatamente non elette),  per cui illegittimi, è la sconfitta di questa Europa. I poveri, in genere il “popolo”, se ne sono accorti, sia in Gran Bretagna che negli Stati Uniti, aspettando nel 2017, Francia, Germania, Olanda e, forse, l’Italia.

Si può cadere dalla padella alla brace? Forse, ma quando si è imprigionati nella rete senza luce ogni via di uscita può sembrare il futuro.

 

 toninodorazio.altervista.org

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