Ancora un pretesto alla guerra piena.

Ancora un pretesto alla guerra piena

Tonino D’Orazio.7 aprile 2017.

Malgrado succeda continuamente nella storia ci caschiamo sempre. Per entrare in guerra piena, armamenti e eserciti di terra, gli statunitensi hanno sempre bisogno di un pretesto che possa scandalizzare e alzare il risentimento degli sciocchi ed accettare che si occupi altri paesi. Degli altri però e preferibilmente non occidentali.

Vale per la prima guerra mondiale: affondamento delle navi americane che rifornivano di armi la cugina inglese contro la Germania, malgrado la dichiarazione ufficiale di neutralità, fino a quello del Lusitania e dell’Arabic, (1916); del Vigilantia nel marzo 2017; e la dichiarazione di guerra del 2 aprile, a un anno dalla fine della guerra quando tutti erano “spompati”. La seconda guerra mondiale sull’oscuro e sollecitato attacco a Pearl Harbor, dove storicamente, stupidi film all’appoggio, vengono fatti passare i giapponesi come traditori internazionali per aver bombardato prima della normale dichiarazione di guerra, mentre tutti sanno quante ore hanno fatto passare all’ambasciatore giapponese a Washington, che la portava, davanti alla porta del presidente Roosevelt. Pochi hanno parlato quindi del grande inganno della Casa Bianca dietro l’attacco giapponese di Pearl Harbor, laddove i documenti dimostrano ampiamente come davvero, in quel caso, la presidenza americana volle, cercò ed ottenne un attacco proditorio da parte dei giapponesi per avere un casus belli in grado di trascinare l’intera nazione americana nell’avventura bellica con l’approvazione del Congresso, nel dicembre 1941, dopo due anni che la guerra in Europa faceva stragi.

Tralascio tutti gli efferati colpi di stato, militari o economici, in America Centrale e del Sud, in seguito alle teorie anti-socialiste di Kissinger a sostegno dei capitalisti e dei fascisti di quei paesi, dalla fine degli anni ’60 del secolo scorso ad oggi. Non conto morti e sofferenze, né di bimbi né di animali.

Arrivo alle guerre medio-orientali. 1991: l’Iraq di Saddam, il più grande paese ricco di petrolio, sostenuto dagli Stati Uniti aveva appena inflitto una sconfitta all’Iran degli sciiti Ajatollah, ma con un bilancio negativo di circa 1 milione di morti. (1980/88). La ricompensa segretamente pattuita era la cessione del Kuwait. Finita la guerra gli Stati Uniti negano ovviamente l’accordo. Arriva il “pretesto”. Saddam invade il Kuwait, gli americani invadono l’Iraq, ma non osano andare sino in fondo e richiedono ingenti risarcimenti finanziari (ipotecando in pratica i pozzi petroliferi) per danni loro e del Kuwait. Purtroppo l’Iran risorge economicamente e anche l’Iraq; il petrolio frutta. Bush decide l’attacco all’Iraq e intanto invade l’Afganistan. Pretesto, presunto (perché ormai i dubbi sono elevati) attacco alle torri gemelle di New York (settembre 2001) e caccia all’amico Bin Laden. Si allea con i soliti inglesi (nelle malefatte sono sempre presenti con i cugini, anche se in filigrana), lo stesso Blair, oggi davanti al Tribunale Penale Internazionale per genocidio, mentono su un altro pretesto: il possesso di Saddam di “armi di distruzione di massa”, successivamente mai trovate. Ma tanto è, inizia l’invasione (20 marzo 2003) da parte di una “coalizione di volenterosi” (dixit Bush) ancora oggi in atto e, importante, continua il programmato furto del petrolio. Chi crede all’esportazione della democrazia può continuare a farlo tranquillamente, non c’è più contraddittorio.

Nell’ottobre 2001 gli Stati Uniti guidarono una coalizione, la solita banda, che intervenne militarmente in Afghanistan, non so perché c’eravamo anche noi con la Nato, per stanare gli autori degli attentati dell’11 settembre, rovesciare il regime oppressivo e teocratico dei talebani e, soprattutto, prendere Osama Bin Laden vivo o morto. Difatti era sicuramente una invasione progettata da tempo, i cui piani dettagliati di guerra globale contro Al Qaeda non potevano diventare operativi prima degli attentati terroristici, cioè del “pretesto”. E quindi i piani d’invasione dell’Afghanistan erano già pronti alcuni anni prima dell’11 settembre. Non si può organizzare in un mese. L’invasione è ancora in atto in Afganistan per “ripristinare la democrazia”, anche se Bin Laden, amico della famiglia dei petrolieri Bush, ormai è stato ucciso. Giustamente rappresentava un rischio evidente che potesse rivelare troppe cose. Uccidere gli amici rappresenta sicuramente il compimento affettuoso della teoria di Machiavelli “il fine giustifica i mezzi”.

Le guerre di Afghanistan e Iraq rappresentano un bilancio  destinato a toccare i 350 miliardi di dollari, se l’attuale impegno militare resterà costante, per un esborso per famiglia che, in dieci anni, raggiungeranno i 46.300 dollari a famiglia (Washington Post). Nel senso che si incassano i benefici (petrolio e affari) e si socializzano le perdite. Lasciamo perdere il totale dei morti ? Conviene, potrebbe rappresentare in totale più di due o tre guerre mondiali. Senza Norimberga e per la democrazia globale.

Servono soldi? Ce li ha Ghedaffi. Guerra alla Libia, al suo petrolio e al suo tesoro in oro (oggi scomparso) altro che dollari carta straccia. L’intervento militare in Libia del 2011 iniziò il 19 marzo ad opera di alcuni paesi aderenti al clan, solito club degli amici. Il “pretesto”? Salvare la popolazione civile dai combattimenti tra le forze lealiste, dello stato libico, di Mu’ammar Gheddaffi e le forze “ribelli” musulmane sunnite, ancora oggi di Al Qaida, sostenute dagli amici più democratici del mondo, gli arabi sauditi, cioè dagli americani (e dagli inglesi). Dichiarano lo spazio aereo libico “no-fly zone” in modo da scorazzare a comodo loro. Mandano avanti l’impaziente francese Sarkosy a bombardare direttamente Ghedaffi e con lo scopo nemmeno nascosto di rubare il petrolio eliminando l’Eni. Qualche ora più tardi, arrivano i missili di crociera, tipo Tomahawk da navi militari statunitensi e britanniche, già presenti nel golfo, su obiettivi strategici in tutta la Libia. Poi arrivano gli aerei della Clinton dalla loro portaerei terrestre la Sicilia. Stessa tecnica: distruzione totale, il più grande caos e morti possibili e l’inizio della faida infinita della guerra civile. Divide et impera.

Mancava all’appello la Siria pieno di petrolio. Per poco. Stessa tecnica, stessa operazione, in contemporanea, inizia il 15 marzo 2011. Il conflitto è ancora in corso, con conseguenze devastanti per la regione, centinaia di migliaia di morti, oltre a milioni di rifugiati scaricati sull’Europa. Sempre insieme agli amici democratici sauditi si finanziano le fazioni, tanto loro sono stupidi ad ammazzarsi tra sciiti e sunniti, se ne fanno dei “ribelli” democratici contro il potere legalmente costituito, (non vi ricorda la nazista Ucraina?), si forniscono soldi e armi e banditescamente si aspetta. Ma purtroppo questi sono un po’ come la sinistra italiana, si alleano e si dividono continuamente. Oggi vi sono circa 10 fazioni a dividersi i dollari e le armi, compresa la feroce Isis, e nessuno scherza, o è da meno, in crimini comuni.

Gli Usa e numerosi paesi arabi hanno lanciato a settembre 2015 dei raid aerei contro l’Isis in Siria. A loro si sono uniti numerosi paesi occidentali, tra cui il Regno unito (sic!), e la Francia socialista. 17 paesi sono riuniti nel gruppo di “sostegno” alla Siria, tra questi la servile Italia, ma non sono né graditi e né richiesti dal legittimo governo siriano. Sono un po’ abusivi. Inserito nella farsa di “chi aiuta chi”, i russi sembrano aver scoperto e interrotto il giochetto, obbligando gli americani a colpire i loro amici dell’Isis. Cosa che non stanno facendo seriamente a meno di non essere una vera forza guerriera, oppure non possono.

Ma non è finita. Gli americano non possono andare via sconfitti, non sopporterebbero un altro Vietnam e alla fine una fuga dalla regione. Bisogna mandare le truppe e gli armamenti di terra, in modo da non schiodarsi mai più dai luoghi “conquistati”. E’ il risultato innegabile di tutte le guerre descritte. Quindi, intanto si ricomincia con le “armi di distruzione di massa”. Se la gente ci ha creduto la prima volta perché no. Basta “costruire” qualche scenetta, far parlare le Ong di Soros, e impegnare tutti i media nell’eventuale menzogna. Anche se Assad, su consiglio dei russi, aveva consegnato ai rappresentanti dell’Onu le armi chimiche che aveva, (2014, disinnescando il primo “pretesto”), e si sa che tutti al mondo ne hanno nelle loro santabarbara, vi pare che non ne abbia conservato qualche grammo? Ecco il nuovo “pretesto”. Bisogna che la gente ci creda, si indigni e accetti la vendetta. Ma soprattutto i “bambini”. Non tutti quelli massacrati da bombe amiche, ma “quelli”. “Se l’Onu non è capace … noi abbiamo il dovere di intervenire”, Nikki Haley, ambasciatrice americana al Consiglio di Sicurezza, l’altro ieri, 5 aprile. E’ una dichiarazione di guerra unilaterale. Possono. “L’Onu c’est moi“.

Trump o non Trump, l’impero americano si costruisce con le armi, gli armamenti e i milioni di posti di lavoro che vi sono dietro. I morti, dall’una o dall’altra parte non contano. Parola di un pacifista senza se e senza ma: aspettiamo l’invasione. Trump sarà in linea con tutti gli altri presidenti guerrafondai e distruttori. I bambini morti, quelli “non giusti” li conteremo dopo, se ce li faranno vedere. E facciamo finta di credere alla bontà Usa per i diritti umani e per la democrazia. Come sempre. Veramente non abbiamo scelta?

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